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Joshua – Recensione

Un bambino demoniaco distrugge la propria famiglia in un horror che si ispira ad atmosfere alla Roman Polanski

Regia: George Ratliff – Cast: Sam Rockwell, Vera Farmiga, Jacob Kogan, Celia Weston, Dallas Roberts – Genere: Horror, colore, 105 minuti – Produzione: USA, 2007 – Distribuzione: 20th Century Fox – Data di uscita: 11 luglio 2008.

joshuaDi bambini malvagi al cinema ne abbiamo visti un’infinità nel corso degli anni: dal Damien di “The Omen” ai ragazzini invasati di “Grano Rosso Sangue” fino al giovane Michael Myers del recente “Halloween” di Rob Zombie. Ma Joshua Cairn si candida di certo per un posto di rilievo nella hit parade degli evil children.

Faccia angelica ma sguardo di brace, questo ragazzino di nove anni, magnificamente interpretato dall’esordiente Jacob Kogan, riesce in un’ora e tre quarti di film a sgretolare davanti ai nostri occhi l’apparente perfezione di una giovane famiglia upper class di Manhattan. I coniugi Brad (Sam Rockwell, da applausi) e Abby Cairn (Vara Farmiga) sono al settimo cielo per l’arrivo della seconda figlia Lily. Tutto sembra andare per il meglio: Brad è un rampante consulente finanziario mentre Vera può contare sul sostegno costante dell’adorato fratello gemello Ned oltre che su un nuovo, splendido, appartamento con vista su Central Park.

L’unico a non aver preso benissimo l’arrivo della piccola Lily è per l’appunto Joshua, che si sente evidentemente trascurato e messo in disparte dai genitori, secondo la più classica delle reazioni emotive dei primogeniti. Così, da enfant prodige del pianoforte e alunno modello, Joshua si trasforma lentamente nell’elemento disgregante della famiglia Cairn, secondo modalità e situazioni che ci fanno presagire una sua componente soprannaturale e malefica.

A peggiorare la situazione ci si mette una depressione post-partum di Abby, acutizzata dagli strani e ripetuti pianti di Lily, da rumori sospetti nell’appartamento di sopra e dai continui litigi con la suocera fanatica religiosa, che finisce per sfociare in un vero e proprio esaurimento nervoso.

Nel frattempo, costretto a lasciare il lavoro per seguire la famiglia e per di più accusato ingiustamente di abusi sul figlio, Brad incomincia a capire che Joshua non è quell’essere innocente che vuole sembrare…Il Roman Polanski di “Repulsion” ma soprattutto di “Rosemary’s Baby” è indubbiamente il principale ispiratore di George Ratliff (moltissimi gli omaggi al maestro della suspance polacco, non ultimo il look alla Mia Farrow di Vara Farmiga), qui al suo primo vero lungometraggio dopo un paio di fortunati documentari.

Ratliff è molto bravo a fondere i generi dramma familiare/horror psicologico, costruendo un film dove sentimenti primitivi come ansia, gelosia e paranoia, presenti in ogni nucleo familiare, esplodono progressivamente, creando nello spettatore un crescente disagio, esasperato dall’idea che proprio un bambino, anima candida per definizione, possa essere in realtà regista di una diabolica macchinazione distruttiva.

Contribuisce alla riuscita del film l’ottima fotografia del belga Benoit Debie che, dosando con sapienza luci ed ombre, sa passare con disinvoltura dalle luminose scene newyorkesi en plein air, alle cupe e claustrofobiche sequenze nell’appartamento. Unica nota stonata un finale che definire buttato via e sul ciglio dell’umorismo involontario è un eufemismo.

Vassili Casula

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