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JCVD – Recensione

“JCVD”, Jean Claude Van Damme si confessa

Regia: Mabrouk El Mechri – Cast: Jean Claude Van Damme, Francois Damiens, John Flanders, Zinedine Soualem – Genere: Commedia, colore, 96 minuti – Produzione: Belgio, Lussembrugo, Francia, 2008.

JCVDÈ notte. Campo militare in un luogo indefinito: il nostro eroe si fa strada affrontando decine di soldati con colpi di karate, calci volanti, coltellacci e armi di vario tipo. In mezzo a questo caos trova anche il modo di salvare una giovane prigioniera. Si tratta dell’ennesimo Bmovie bellico dove il protagonista sembra assolutamente immune al fuoco nemico?

La presenza del 48enne, nativo belga, Jean Claude Van Damme, invecchiato ma sempre in formissima, ci farebbe propendere per una risposta affermativa. Errore. Il lungo e tecnicamente ineccepibile piano sequenza che apre JVCD, in programma nella sezione L’Altro Cinema – Extra del Festival Internazionale del Film di Roma 2008, è in realtà una scena di metacinema che il regista francese Mabrouk El Mechri utilizza per catapultarci nella vita reale, o meglio nel mockumentario (dall’inglese mock: falso; finto), di Van Damme.

In fase di divorzio legale da moglie e figlia, senza proposte artistiche di rilievo dai produttori, che ormai sembrano preferirgli perfino Steven Seagal, il protagonista di“Double Impact” decide di trasferirsi nella terra natìa per ritrovare tranquillità e affetti familiari. Per una serie di equivoci rimane coinvolto in un assalto ad un ufficio postale di un sobborgo di Bruxelles e per di più viene scambiato per l’autore della rapina dagli sprovveduti gendarmi belgi.

Salutato come una delle poche sorprese positive del Festival, questa curiosa opera prima ci fa scoprire il lato autoironico del protagonista di tanti action movie degli anni ’90, apprezzati dal pubblico ma non certo dalla critica.

In “JCVD”, Van Damme scherza sui clichè del duro e implacabile in scena, ma fragile nella vita di tutti i giorni, regalandoci, nel mezzo nel film, un lungo e toccante monologo in francese in cui, faccia a faccia con lo spettatore, si mette a nudo come attore e come uomo, toccando tasti dolenti come la dipendenza dalla droga e le note disavventure giudiziarie, come a voler chiedere, sinceramente commosso, una seconda possibilità.

El Mechri, che strizza l’occhio a classici crime movies (“Quel pomeriggio di un giorno da cani” su tutti) e nuovi autori noir (Tarantino e Avary), si dimostra regista di talento soprattutto nelle convulse scene della rapina anche se talvolta appesantisce il ritmo della narrazione con un uso eccessivo di flashback e forward.

Vassili Casula

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