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Into Paradiso – Recensione

Esce in Italia e si chiama “Into Paradiso” il film premiato a “Les Rencontres du Cinèma Italien de Tolouse”, che ha fatto ridere e commuovere il giovanile pubblico francese, grazie alla neoregista di talento Paola Randi e all’inconsueto cast scelto per l’occasione

Regia: Paola Randi – Cast: Gianfelice Imparato, Saman Anthony, Peppe Servillo, Eloma Ran Janz, Gianni Ferreri, Shatzi Mosca – Genere: Commedia, colore, 104 minuti – Produzione: Italia, 2010 – Distribuzione: Cinecittà Luce – Data di uscita: 11 febbraio 2011.

into-paradisoCosa ci fanno un indiano che non è indiano ma srilankese, un criminale che in realtà è uno scienziato e un politico imbavagliato, tra pappe al pomodoro e statuette del presepio, in un “caseruoppolo” costruito su uno dei tetti del quartiere il Cavone di Napoli?

Fanno il nuovo film di Paola Randi intitolato “Into Paradiso”. È l’unica risposta da considerarsi plausibile. Se poi riconosciamo nel trio sopracitato, attori del calibro di Gianfelice Imparato e di Peppe Servillo, fratello del beneamato Toni, allora tutto vi sembrerà possibile, persino che una storia ambientata a Napoli sull’immigrazione possa non contenere stereotipi e cliché tipici del genere. Tale miracolo è reso possibile, non solo da un Servillo, che strapperemmo volentieri al mondo della musica, e da un Imparato, che vorremmo vedere più spesso attore principale, ma anche dallo sguardo insolito conferito a quest’ultimo dalla regista.

Precario, non più giovanissimo e catapultato in una realtà così differente come quella di una comunità srilankese, il personaggio di Imparato ben si predispone, infatti, allo spaesamento, alla ”ostranenia”, che la Randi è intenzionata a rappresentare. Risulta dunque chiara, curiosa e a tratti comicissima l’idea di cosa potrebbe succedere se un italiano fosse costretto a vivere come uno straniero nella propria città. Coraggiosi sono i risultati di tale convivenza ed esemplare è la capacità con cui le due etnie si uniscono per fronteggiare, seppure solo con i gli strumenti propri della loro identità, della loro cultura e del loro passato, i disagi della società in cui vivono.

Da ammirare le esplorazioni estetiche operate dalla regista, che vedono i personaggi muoversi in alcune scene in claymation (come nella serie animata svizzera “Pingu”), oppure ritagliati come fumetti sullo sfondo di un mare di cellule viste al telescopio.

Da ascoltare con attenzione le musiche, curate sempre da Servillo, che, per rinnovare l’idea di contaminazione tra le due culture, sostituisce al sitar la chitarra elettrica e alterna la lirica a pezzi ritmati in pieno stile “Slumdog”. Insomma davvero un’opera originale e destinata a far divertire, la prima di questa regista, che vi sorprenderà sapere nata, cresciuta e vissuta a Milano.

Cecilia Sabelli

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