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In grazia di Dio – Recensione

Quattro donne reagiscono alla crisi economica reinventandosi uno stile di vita naturale e tornano a vivere “In grazia di Dio”

Regia: Edoardo Winspeare – Cast: Celeste Casciaro, Laura Licchetta, Gustavo Caputo, Anna Boccadamo, Barbara De Matteis – Genere: Drammatico, colore, 127 minuti – Produzione: Italia, 2013 – Distribuzione: Good Films – Data di uscita: 27 marzo 2014.

In grazia di Dio – Recensione

in-grazia-di-dio“In grazia di Dio”, del salentino Edoardo Winspeare, è un potente affresco contemporaneo; incentrato sulla storia di quattro donne della stessa famiglia che, dopo aver chiuso la loro impresa familiare schiacciata dai debiti e dalla concorrenza, si reinventano una vita e, riscoprendo valori ancestrali come il senso della famiglia, della comunità, del lavoro dei campi e del baratto, tornano a vivere “in grazia di Dio”.

Il cast, interamente composto da attori non professionisti, ha il merito di rendere la poesia del reale meglio di come avrebbero fatto attori di mestiere. È una sinfonia di volti vissuti che, per mezzo di un dialetto autentico, afferrano lo spettatore trascinandolo nel “hic et nunc” del tempo raccontato.

Il film ha una costruzione semplice ma non semplicistica: è assente la forma del racconto classico con un incipit, uno sviluppo ed un finale; piuttosto dipinge la complessità del reale, scattando una fotografia di una piccola parte di quel mondo rurale che contiene in sé il concetto di universalità.

Di fronte ad una forma stilistica che attinge al nostro migliore cinema neorealista, emerge, di contro, un modo moderno e anticonvenzionale di far cinema, l’unico che oggi consenta di fotografare il mondo nelle sue incoerenze. La Puglia è per il regista terra di contraddizioni per antonomasia in cui passato e presente, sacro e profano convivono in armonia. Anche le potenti immagini femminili che popolano quest’universo sono cariche di contrasti: dure e fragili, forti e tenere, istintuali e sentimentali.

Attraverso immagini del Salento, Winspeare ci propone la sua visione di una vita “in grazia di Dio”: tornare a un mondo umile dove il termine “umile” riafferra il senso etimologico di “humus”, terra. Il lavoro della terra ha qui una doppia valenza: spirituale ed artistica. Una vita naturale, il riaprirsi alla natura e agli altri, può condurre alla salvezza; allo stesso tempo la terra salentina è arte; è un quadro dipinto dal lavoro contadino che ne ha plasmato le belle forme naturali, attraverso la costruzione di bianchi muretti a secco e terrazzamenti del terreno.

Sistematicamente il regista ha perseguito quest’ideale di ritorno alla naturalità di vita anche nella realizzazione del film: ha inventato il “pacco baratto”, ovvero aziende impossibilitate ad offrire soldi hanno messo a disposizione prodotti e servizi, dalle automobili alle biciclette ad un buono per il controllo e la pulizia dei denti.

Il film, che è anche un omaggio all’universo femminile e alla sua forza, che trova risorse laddove sembrerebbe esaurita ogni speranza, si chiude con un’ immagine in dissolvenza: quattro donne abbracciate nel canto di una ninna nanna consolatoria in un quadro di struggente bellezza.

Consigliata la visione con occhiali da sole per non restare abbagliati da tanta beltà.

Danila Belfiore

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