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Il Pasticciere – Recensione

Luigi Sardiello porta in sala un noir contemporaneo dalle tinte ironiche e le atmosfere surreali quanto grottesche, per indagare sulla vita e sulla vulnerabilità dell’uomo nei confronti di un mondo spietato

Regia: Luigi Sardiello – Cast: Antonio Catania, Rosaria Russo, Ennio Fantastichini, Sara D’Amario, Antonio Stornaiolo – Genere: Drammatico, colore, 97 minuti – Produzione: Italia, 2012 – Data di uscita: 31 ottobre 2013.

il-pasticcere-locandinaLuigi Sardiello torna alla regia con un film, “Il Pasticciere”, in cui l’analisi delle dinamiche umane si mescola a un’atmosfera surreale e dark tipica del genere noir. Al centro della pellicola c’è la storia di Achille, un uomo puro, apparentemente comune, che vive solo e unicamente per la sua professione, quella di pasticciere. Come l’universo della pasticceria, anche la vita del personaggio sembra essere scandita da regole, metodo e pulizia, costringendolo a un’esistenza segregata e apatica, priva di ogni contatto con il mondo esterno.

Sin dal principio il film mostra di voler essere un chiaro tributo al noir americano anni ’40; la struttura portante della pellicola è, dunque, quella classica del genere: come il noir vuole, c’è un cattivo, una dark lady tanto sensuale quanto ambigua, un uomo ingenuo che si trova in una situazione a lui del tutto sconosciuta e che non sa come gestire.

All’equilibrio del genere il regista aggiunge, però, una componente originale che finisce per sospendere la pellicola in un’atmosfera ancor più surreale e paradossale. Il tutto si gioca sulla a-normalità del protagonista: egli è un emarginato della società, un uomo puro per la sua estraneità al mondo esterno che, come per ripicca, si mostra nei suoi confronti in tutta la sua asprezza e ferocia.

Quello di Achille non è il solito personaggio dell’uomo comune, egli è piuttosto il più bizzarro e anormale fra tutti. Se nella storia gli altri personaggi sembrano rimanere perfettamente confinati nei loro ruoli, il protagonista presenta, invece, delle sfaccettature molteplici che affiorano man mano nel corso della storia, spiazzando lo spettatore. È come vedere il tipico personaggio da commedia catapultato in un mondo altro che non gli si confà, ed è proprio da questa bizzarra condizione che iniziano a prendere vita situazioni paradossali del tutto nuove al genere cui il film appartiene.

Accanto a questa costante sensazione di straniamento, il regista dissemina la pellicola di scene ironiche che scaturiscono dal disorientamento perenne del protagonista nei confronti di ciò che accade intorno a lui. Le sue azioni sembrano mosse da una corrente forte che, in condizioni estreme, spazza via le sue certezze e le sue convinzioni, trascinandolo, suo malgrado, a fare i conti con l’oscurità più buia del suo essere, che mai avrebbe pensato esistesse. È in questo senso che nel corso del film si può registrare un’escalation del personaggio che da buono e innocuo assume pian piano i caratteri del cattivo – non per scelta ma per necessità – mantenendo, però, in fondo la sua indole gentile.

Forse proprio per questa contraddittorietà insita nel suo protagonista, anche la pellicola dà l’impressione, a tratti, di essere un po’ equivoca nella linea narrativa che non sempre fila come dovrebbe.

Sapiente è invece il lavoro della fotografia, tutto basato su un gioco di luci e ombre caro al genere noir; ecco che, allora, il dramma e le ansie del protagonista acquistano una consistenza quasi palpabile, fatta di nebbie scure e ombre che ben rispecchiano il tormento del personaggio. Al finale invece, la catarsi di Achille trova piena corrispondenza nella riscoperta del colore, simbolo per eccellenza di una ritrovata pace interiore.

Francesca L. Sanna

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