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Il mondo di Arthur Newman – Recensione

Una doppia identità per sfuggire a sé stessi: questa l’ispirazione di base del viaggio che i due protagonisti di “Il mondo di Arthur Newman” compiono insieme

(Arthur Newman) Regia: Dante Ariola – Cast: Emily Blunt, Colin Firth, Anne Heche, Phillip Troy Linger, Sterling Beaumon, Kristin Lehman, David Andrews, Peter Jurasik – Genere: Drammatico, colore, 101 minuti – Produzione: USA, 2012 – Distribuzione: Videa – CDE – Data di uscita: 5 settembre 2013.

il-mondo-di-arthur-newmanWallace è un uomo grigio e depresso che conduce una vita intrisa di normalità e di infelicità. Ha un divorzio alle spalle, un figlio con cui non ha quasi rapporti e una compagna con cui intrattiene una blanda relazione priva di poesia. Per questo Wallace, interpretato dal premio Oscar Colin Firth, decide di diventare un altro: inscena la sua scomparsa e intraprende una nuova avventura con il nome di Arthur Newman, con la speranza di poter realizzare il sogno di diventare un professionista del golf.

Ma poi in un motel incontra Michaela, una ragazza sbandata e problematica, in fuga da se stessa e da una vita che le ha riservato brutte sorprese. I due, vinti entrambi dalla disperazione, con un’identità fittizia, viaggeranno a lungo, scoprendosi a vicenda e innamorandosi. Se amore si può definire il sentimento che li lega o non piuttosto bisogno di essere capiti e di essere completati. “Il mondo di Arthur Newman” di Dante Ariola si potrebbe riassumere così, partendo dalle caratteristiche dei suoi personaggi principali.

La tematica pirandelliana della doppia identità è ribadita per tutto il film, durante il quale Wallace e Michaela alterano i propri nomi, giocano con essi a seconda che vogliano essere sé stessi o qualcun altro, si chiamano con insistenza o sembrano addirittura ripetere a loro stessi il nome fittizio che hanno scelto per ricordarlo meglio, per sradicarsi dal loro vero io. L’idea di osservare delle coppie e di appropriarsi della loro esistenza, vivendo attimi preziosi nelle loro case, fa parte del gioco che li renderà intimi e consapevoli di stare rinascendo insieme. Una soluzione filmica che ricorda un po’ la pellicola coreana “Ferro 3” in cui i due protagonisti entrano nelle case altrui e le vivono come se fossero le proprie.

Il viaggio attraverso squallidi motel e case di lusso sarà accompagnato soprattutto dal progressivo disvelamento del personaggio di Michaela, interpretato dall’affascinante Emily Blunt, che subentra bruscamente nella vita di Wallace-Arthur, lasciando intravedere subito un carattere difficile ma indifeso. Entrambi fuggono dalle responsabilità, dalle insidie insite nella loro personalità e accompagnano questa fuga psicologica a una fuga fisica per le highway americane. C’è un po’ della commedia on the road e un po’ dell’idea filosofica e letteraria del viaggio come scoperta e riscoperta di sé stessi.

La coppia Colin Firth-Emily Blunt stenta un po’ a decollare nella prima parte del film; la loro diversità non trova un punto d’incontro. Wallace è l’impiegato medio nel modo di vestire e di comportarsi, mentre Michaela ha uno stile dark e tormentato, da cattiva ragazza che non rispetta le regole. Eppure nella seconda parte del film si capisce la scelta degli sceneggiatori di creare due personaggi così differenti che lentamente si amalgamano, fanno scoppiare la scintilla e rendono palpabile agli occhi dello spettatore l’alchimia. La trasformazione è compiuta grazie al loro legame. Anche la differenza d’età dei due attori (Colin Firth cinquantenne e Emily Blunt trentenne), che nella prima parte rende poco verosimili alcuni passaggi e li fa assomigliare più a un padre e una figlia che a due possibili amanti, scompare lasciando spazio a una relazione originale. Per quanto l’aria british di Colin Firth continui a pesare sul personaggio che fa sorridere quando si lascia andare troppo.

Nonostante “Il mondo di Arthur Newman” si regga quasi esclusivamente sulle dinamiche relazionali e psicologiche tra i due protagonisti, molto toccante è la vicenda parallela del figlio di Wallace che colpevolizza il padre per la sua assenza, ma nel momento in cui crede di averlo perso inizia un personale viaggio di ricerca, anche lui, del vero Wallace. Vederlo nelle foto sui campi da golf lo aiuterà a rendersi conto di quanto il padre abbia perso sé stesso nel tempo.

Il film tratta una tematica amara, con un messaggio ben preciso: non bisogna scappare da sé stessi e dalle proprie responsabilità, ma affrontarle a viso aperto per uscire dal proprio guscio. Se nel finale Wallace resterà Arthur sceglierà di vivere un felicità vera e fittizia allo stesso tempo, ma se ritornerà a essere Wallace dovrà scendere a compromessi con le difficoltà della sua vita.

Irene Armaro

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