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Il mio nome è Khan – Recensione

Una storia affascinante che mescola temi duri, ma attuali a momenti di puro e godibile divertimento, degno dei migliori esempi di cinema indiano

(My Name Is Khan) Regia: Karan Johar – Cast: Shah Rukh Khan, Kajol, Katie A. Keane, Kenton Duty, Benny Nieves, Christopher B. Duncan, Jimmy Shergill, Sonya Jehan, Parvin Dabas, Arjun Mathur, Sugandha Garg, Zarina Wahab, Michele Marsh, Jennifer Echols, Pallavi Sharda, Brent Mendenhall, Jennifer Barbosa, Kathleen M. Darcy, Tracy Weisert, Mike Howard, Kevin Oestenstad, Dominic Renda, Arif Zakaria, Brett Glazer, Marquis Scott, Ron Provencal, Joseph Zinsman, Jai Kishen Bhatia, Arnav Chhapwale, Abhin Mudgal, Faroukh Mehta, Shane Harper, Mel Fair, Patrick Weil, Michael William Arnold, Raul Bustamante, Nicolas Pajon, Christine Quynh Nguyen, Big Spence, Tanay Chheda, Steffany Huckaby, Douglas Tait, Carl Marino, Retson Ross, Alexi Torres, Navneet Nishan, Ethynn Tanner Cerney, Reed Rudy, James D. Weston II, Jeremy Kilpatrick, Adrian Kali Turner, Sheetal Menon, Anthony Santana – Genere: Drammatico, colore, 128 minuti – Produzione: India, 2010 – Distribuzione: 20th Century Fox – Data di uscita: 26 novembre 2010.

il-mio-nome-e-khan-ita“Il mio nome è Khan” è un film straordinariamente coinvolgente che ha il merito di trattare temi dolorosi e attuali con estrema naturalezza, senza spingere l’acceleratore sull’accentuazione del dramma, per stimolare la sensibilità dello spettatore.

Karan Johar, famosissimo in patria e non solo, a ragione inserito nel 2008 da Newsweek tra i cinquanta potenti d’India, ha portato sullo schermo, ispirandosi a vicende realmente accadute, la storia di Khan, musulmano, dalla sua infanzia in India alla sua vita negli Stati Uniti, dove si trasferisce sperando di concretizzare la promessa fatta alla madre: crearsi un’esistenza felice.

Il nostro protagonista, interpretato magistralmente da Shah Rukh Khan, attore di punta di Bollywood, è affetto dal morbo di Aspergers, una leggera forma di autismo che spesso lo pone di fronte agli altri e alla vita con l’ingenuità di un bambino. Questa sua spontaneità, che sfocia in una sincerità mai mediata dalla diplomazia, e gli insegnamenti della madre, per cui non esistevano differenze religiose che potevano qualificare gli uomini, ma esistevano solo uomini buoni o uomini cattivi, che come tali potevano compiere solo azioni buone o cattive, lo rende interiormente forte, ma anche esteriormente vulnerabile, in un mondo in cui differenze sociali, religiose, e politiche, sono una buona scusante per intolleranze se non nefandezze.

Johar ha creato un prodotto accattivante dove la vita dei protagonisti viene raccontata nella sua interezza, con tutte le scale di colori, a mostrare come la vita di ognuno è fatta di gioie e dolori. Attraverso le vicende di Khan osserviamo la storia di un mondo in cui l’11 settembre determina una svolta epocale, che fa ripiegare l’occidente nel terrore, nella paura di tutto ciò che non conosce, alimentando divisioni e contrasti. Durante la visione si ride, ci si commuove, si rimane attoniti, si spera, ci si fa coraggio, capendo che la volontà non è tutto ma quasi, se a muovere le nostre azioni è l’amore.

Il film dura più di due ore ma lo spettatore non se ne accorge, catturato da vicende in continua evoluzione, dalla bella colonna sonora, e da un cast di bravi attori, anche i più giovani. Il finale è un po’ enfatico, forse troppo ottimista, ma se perdiamo anche la speranza cosa mai può rimanerci? Il cinema indiano dimostra ancora una volta d’avere le carte in regola per competere a livello internazionale, e mostra un coraggio nello sposare attualità e intrattenimento che latita da troppo tempo nelle produzioni occidentali, ripiegate spesso e volentieri sul dramma intimista o sulle commedie di bassa levatura.

Oltre a spettatori amanti del dramma a tutti i costi o delle risate di grana grossa, esiste tutto un mondo di cervelli funzionanti ai quali piace svagarsi senza per questo mandare il cervello in letargo, questo film è per loro.

Maria Grazia Bosu

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