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Il miglio verde – Recensione

Una storia toccante sull’esperienza del carcere e sulla pena di morte

(The Green Mile) Regia: Frank Darabont – Cast: Tom Hanks, Michael Duncan, David Morse, Bonnie Hunt, James Cromwell, Michael Jeter, Graham Greene, Doug Hutchison, Sam Rockwell, Barry Pepper, Jeffrey DeMunn, Patricia Clarkson, Harry Dean Stanton, Dabbs Greer, Eve Brent, Gary Sinise, Sam Rockwell – Genere: Drammatico, colore, 168 minuti – Produzione: USA, 1999 – Distribuzione: Universal – Data di uscita: 10 Marzo 2000.

miglio-verdeTratto dall’omonimo romanzo in sei puntate scritto da Stephen King, “Il miglio verde”, diretto da Frank Darabont, alla sua seconda regia dopo “Le ali della libertà”, è il racconto rievocato da Paul Edgecomb (Tom Hanks), ex capo delle guardie del braccio della morte nel penitenziario di Cold Mountain, sulla “permanenza” presso il carcere di John Coffey (Michael Duncan), uomo di colore alto due metri, condannato a morte per il brutale omicidio di due gemelline di nove anni.

In contrasto con l’aspetto smisurato e minaccioso, John è invece benevolo ed affabile con tutti, delle volte perfino ingenuo e intrappolato nella morsa di un’infantile paura del buio. Dopo qualche tempo Paul appura di persona che John ha un’altra qualità importante e misteriosa: riesce a risucchiare il dolore dalle persone. Lo spettatore inizialmente assiste incredulo alle guarigioni miracolose del timido John, ma si lascia piacevolmente trasportare da questo alone di magia, che pervade l’universo claustrofobico dell’ultimo miglio percorso dai condannati a morte verso “la vecchia scintillante”.

Il pavimento di linoleum verde, che conduce alla stanza della sedia elettrica, è un tragitto lungo durante il quale tornano a galla vecchie storie, vicende mai realmente risolte e dove affiorano come in un’ultima sofferta confessione, le vere personalità di chi lo solca. Il film non pone mai accenti pretenziosi sulla retorica della pena di morte, ma utilizza il tema come espediente per sostenere con decisione che, la condanna sia una soluzione erronea a prescindere dalla persona sulla quale viene applicata. L’ideale quarta parete, che racchiude il microcosmo del carcere, d’un tratto viene abbattuta per fare posto al sogno.

Quel sogno che ha gli accenti delle storie alla Frank Capra, dove l’iniziale buonismo lascia il posto all’ineluttabilità della vita, per poi risalire nuovamente verso l’alto attraverso la danza eterea e leggera di Fred Astaire e Ginger Rogers e di quei ritmi blues che riecheggiano attraverso la radio lungo il miglio, interrotti dallo squittire del topolino ammaestrato Mr. Jingle. “Il miglio verde” offre uno spaccato “reale” dell’ambiente carcerario, impreziosito da una sfumatura di spiritualità, con la quale questa storia ci circonda e ci avvolge.

Serena Guidoni

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