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Il gioiellino – Recensione

Seconda prova alla regia in solitaria di Andrea Molaioli (anche sceneggiatore di questa pellicola) che stavolta, con grande abilità, mostra il malcostume di certe aziende, dove imprenditori-squali proliferano a danno dei pesciolini, grazie a connivenze politico-finanziarie

Regia: Andrea Molaioli – Cast: Toni Servillo, Remo Girone, Sarah Felberbaum, Fausto Maria Sciarappa, Vanessa Compagnucci, Lino Guanciale, Renato Carpentieri, Lisa Galantini, Gianna Paola Scaffidi – Genere: Drammatico, colore, 110 minuti – Produzione: Italia, Francia, 2011 – Distribuzione: Bim – Data di uscita: 4 marzo 2011.

ilgioiellinoAndrea Molaioli, dopo il successo della sua opera prima “La ragazza del lago”, torna dietro alla macchina da presa con un film altrettanto intenso. Il regista porta sul grande schermo il mondo dell’imprenditoria e della finanza, focalizzando l’attenzione sulla spregiudicatezza con la quale vengono gestite molte aziende.

Pur volendo dare un messaggio universale sull’etica e sulla morale, il film ha come fulcro narrante la vicenda che ha riempito le pagine dei giornali per tanti mesi, il crack del gruppo Parmalat, azienda agro-alimentare nostrana quotata in borsa, con sede a Parma, la cui gestione ‘allegra’ ha decretato non solo il proprio fallimento, ma anche quello di molti suoi fornitori, ai quali si aggiungono i piccoli risparmiatori, che avevano investito nelle azioni del gruppo.

L’impresa al centro delle vicende del film è la Leda, di Amanzio Rastelli, che ha creato un impero agro-alimentare, ramificato a livello internazionale, partendo da un salumificio di famiglia. E’ proprio la gestione domestica, inadeguata e sconsiderata, attuata da personale la cui preparazione si ferma spesso al diploma, nonché il posizionare nei punti nevralgici amici e parenti, e non personale formato a gestire una grande azienda, che determinerà una serie di eventi che porteranno il disfacimento del ‘gioiellino’ di famiglia.

Una strepitosa coppia di attori, quali Remo Girone e Toni Servillo, vestono rispettivamente i panni del Rastelli e del ragionier Botta, quest’ultimo scaltro e senza scrupoli, soprattutto nel coprire i buchi in bilancio, con prestiti che ne coprono altri, conti fantasma e tanta fantasia.

Il regista mostra in modo chiaro le dinamiche di un mondo imprenditoriale che si avvale di politici e pubblici ufficiali compiacenti, in cui una mano lava l’altra, fino a quando anche il sapone non è più sufficiente a detergere uno sporco divenuto quasi indelebile.

Singolare poi, e quanto mai attuale, l’abitudine da parte dei potenti, di ergersi a paladini di sani valori e molarità, solo con le chiacchiere però, perché con l’operato sono ben lontani da etica e morale, la loro vera religione è il quattrino, e il prestigio sociale che da esso deriva. Vengono alla mente i bunker dei capi mafia mostrati alla tv dopo il loro arresto, altari, Bibbie, statue di santi, una devozione decisamente poco in sintonia con omicidi, droga e quant’altro. Certo l’alta finanza non uccide con la lupara, le persone le rovina ‘con i guanti di velluto’, ma non per questo fa meno vittime.

Peccato che il film approfondisca poco questo aspetto. In alcune scene si evince la rabbia dei fornitori frodati, ma per chi non è addentro alle vicende è difficile capire quanta gente abbia perso tutto col crollo in borsa delle azioni e come molte banche siano state accusate d’aver proposto alla propria clientela azioni che sapevano essere sovrastimate, pur di trarne il proprio guadagno. Fra gli investitori tanti erano addirittura lavoratori dell’azienda, che avevano dato fiducia alla proprietà riponendo in essa i propri risparmi.

Sara Felberbaum, nipote del Rastelli, è l’unica figura femminile che emerge dal racconto; lei è preparata, ha una laurea e un master, ma in quanto a etica è allineata col resto della banda. Sfocata la figura del figlio del padrone, più interessato a comprare macchine sportive e giocatori per la squadra di calcio, che alle sorti dell’azienda; annoiato e svogliato, è l’emblema di chi ha tutto e vive tra agi e noia, senza un vero interesse. Il padre si rende conto della sua incapacità, ma non manca di assecondare i suoi capricci.

Molaioli è bravo nel curare i personaggi e il microcosmo esistente nelle stanze del palazzo aziendale, dove i protagonisti, appena sfiorati dall’esterno, vivono in un mondo loro, dove regole e leggi sono lontane anni luce.

Maria Grazia Bosu

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