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Il Divo – Recensione

“Il Divo”, la cattiveria dei buoni è pericolosissima

Regia: Paolo Sorrentino – Cast: Toni Servillo, Anna Bonaiuto, Giulio Bosetti, Flavio Bucci, Carlo Buccirosso, Giorgio Colangeli, Piera Degli Esposti, Alberto Cracco, Lorenzo Gioielli, Paolo Graziosi, Gianfelice Imparato, Massimo Popolizio, Aldo Ralli, Giovanni Vettorazzo, Cristina Serafini, Achille Brugnini, Victor Goubanov, Bob Marchese, Fanny Ardant – Genere: Drammatico, colore, 110 minuti – Produzione: Italia, 2008 – Distribuzione: Lucky Red – Data di uscita: 28 maggio 2008.

ildivo“Facciamo i buoni. Oggi nasce il VII governo Andreotti. E’ un giorno di festa”.

La narrazione della vita del più influente ed inquietante uomo politico del dopoguerra inizia quando la parabola è al culmine del potere (il VI mandato si era appena concluso), con tutti gli esponenti della corrente (da Cirino Pomicino a Franco Evangelisti, da Ciarrapico a Sbardella) riuniti in un barbiere a decidere dei destini e degli intrallazzi del potere politico, tronfi ed arroganti, sicuri di sé, col capo-padrino che si sta facendo radere e dispensa ordini e battute argute… intanto si consumano gli omicidi e i fatti di sangue, inframezzati in flash back, con le sequenze dell’omicidio Pecorelli, del generale Dalla Chiesa, del suicidio-omicidio Calvi, del sequestro Moro, fino all’assassinio dell’eurodeputato Dc Salvo Lima, per concludersi con la strage di Capaci (surrealmente simboleggiata da un auto in caduta libera che esplode). Si intuisce l’inizio del declino per l’on. Andreotti, che culminerà con il processo per mafia.

La scelta caricaturale, dell’uso del grottesco come linea guida del racconto e dell’introspezione del personaggio, si delineano dalla scena iniziale, dove si vede un Andreotti in preda all’emicrania con numerosi spilloni conficcati nel volto per una terapia di agopuntura. Già si intuisce anche il tema della solitudine del personaggio, curvo su se stesso, piegato dalle responsabilità enormi che implicano scelte drammatiche, ma dritto ed imperturbabile nella sua maschera inossidabile, rappresentata da un Servillo straordinario. I movimenti delle mani, il camminare all’indietro in maniera robotica, lo scivolare nosferatescu nel procedere, rendono tale caricatura quasi aliena dal contesto, come una figura misteriosa e nel contempo affascinante. Sono infatti l’emanazione dell’ambiguità e la simbiosi con il potere i due aspetti cardine del personaggio: il primo si legge attraverso la quasi simpatia nel suo sarcasmo e l’atterrimento che provoca in chi gli si pone di fronte, nel rapporto dolcissimo con la moglie e nella terribile freddezza con la quale decide dei destini altrui, nel pregare e confessarsi, nelle passeggiate all’alba in una Roma ancora addormentata… il secondo si manifesta in tutto il teatrino che lo circonda, nei salotti mondani a ricevere fila di personaggi che gli porgono omaggio e gli chiedono grazie, nel suo sacrificare tutto in nome del Potere.

Il film si mantiene a traino del personaggio, le prese di posizione si mantengono sui fatti più che sulle opinioni, ma il pensiero personale di Sorrentino è rivelato in una sequenza dove il divo Giulio, che si discosta totalmente dal suo personaggio entrando volutamente in uno stato narrativo onirico, con uno sfogo esplosivo attua un monologo rabbioso ed incalzante. A parte questo escamotage registico, l’unico avvenimento che sembra scalfire la maschera Servillo-Andreottiana è il rimorso per il compianto Aldo Moro, sacrificato sull’altare della ragion di stato.

Massimo Ramas

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