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Il console italiano – Recensione

Antonio Falduto porta in scena il dramma del traffico degli esseri umani, scoperto e vissuto da due donne diverse ma unite nella ricerca di un uomo, amato da entrambe

Regia: Antonio Falduto – Cast: Giuliana De Sio, Luca Lionello, Anna Galiena, Franco Trevisi, Lira Kohl – Genere: Drammatico, colore, 90 minuti – Produzione: Italia, Sudafrica, 2011 – Distribuzione: Movimento Film – Data di uscita: martedì 26 giugno 2012.

il-console-italianoGiovanna (Giuliana De Sio) è un console italiano in Sudafrica. Vive a Città del capo, è un diplomatico rispettato ed ammirato, oltre che una donna forte ed indipendente. Ma la sua vita controllata e scrupolosa si inclina quando una donna africana, Palesa (Lira Kohl), va nel suo ufficio per chiederle di aiutarla a cercare il suo compagno, Marco, sparito da qualche giorno, dopo essersi messo sulle tracce di alcuni trafficanti di esseri umani. Giovanna resta scossa dalla notizia che il giornalista possa essere in pericolo, poiché lui è stato suo compagno in passato e lei lo abbandonò, pur continuandolo ad amare, senza mai chiarirgli il motivo della sua scelta.

Inizia così il viaggio di queste due donne, completamente diverse eppure legate da un comune destino, alla ricerca dell’uomo che amano e alla scoperta della schiavitù del XXI secolo: una tratta di donne finalizzata per lo più allo sfruttamento sessuale.

“Il console italiano” ha sicuramente il grande merito di portare al cinema una tematica sociale totalmente nuova per il grande schermo. Scopriamo, scena dopo scena, che il traffico di esseri umani è un giro d’affari dal rendimento altissimo e secondo solamente a quello di droga, ma che, nonostante la sua inumanità, avviene spesso senza alcuna pena o controllo perché dietro queste barbarie ci sono il più delle volte aziende grandi e fidate. “Ti prendono i vestiti, ti guardano, ti toccano, fanno quello che vogliono” è così che Palesa spiega la tratta delle donne a Giovanna.

Ma questa pellicola è anche altro: all’interno di una situazione socialmente tragica, c’è anche il dramma personale di Palesa, fuggita qualche tempo prima al racket della prostituzione, ma soprattutto quello di Giovanna: una donna sola perché ha scelto di vivere senza nessuno accanto; una donna incapace di chiedere aiuto, incapace di aprirsi e di darsi all’amore. Lira Kohl ha una presenza scenica disarmante, un viso che trasmette tutto il dolore che il personaggio di Palesa si porta dentro, così che lo spettatore provi subito uno stato di empatia con lei. Al contrario, Giuliana De Sio appare agli inizi fredda e scostante, ma, a mano a mano che confessa i dettagli della sua vita, si ammorbidisce sempre più e permette a sé stessa di accettarsi anche nel dolore e agli spettatori di scoprirne l’umanità. Una coppia di attrici opposte, ma estremamente compatibili sullo schermo.

Un film che ha il difetto di una sceneggiatura poco omogenea e poco incisiva in alcuni passi che richiederebbero fermezza, ma è altrettanto lampante che la collaborazione dell’africana Akidah Mohamed allo script di Antonio Falduto abbia dato grande ricchezza al film. “Il console italiano” mostra un’Africa reale e, per alcuni versi, inedita. Un Paese in cui le donne combattono la paura con la solidarietà (meravigliosa la scena in cui un gruppo di donne arrabbiate armate di padelle la fanno pagare ad un uomo che ha picchiato moglie e figli) e cercano di reagire con forza alla realtà che le circonda. Un’Africa con i suoi pro e contro, ma sicuramente affascinante, come il magico deserto bianco che apre e chiude il film. I vicoli delle strade, le montagne, le immense distese di terra sono descritte con la poesia di un dipinto e allo stesso tempocon il realismo di una regia abituata al documentario.

Forte è la figura della donna in questo film, che ricopre tutti i ruoli: dal console alla donna disperata e sottomessa al marito violento, dall’agente di polizia all’ambasciatore. Un film che annienta lo stereotipo del “sesso debole” e che apre gli occhi su uno dei drammi più grandi che avvengono sotto il nostro naso e già soltanto per questo merita la visione.

Corinna Spirito

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