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Il cecchino – Recensione

È un noir alla francese ben costruito e godibile “Il cecchino”, la pellicola che Michele Placido ha presentato fuori concorso al Festival Internazionale del Film di Roma

(Le Guetteur) Regia: Michele Placido – Cast: Daniel Auteuil, Mathieu Kassovitz, Olivier Gourmet, Francis Renaud, Violante Placido, Luca Argentero – Genere: Thriller, colore, 89 minuti – Produzione: Francia, 2012 – Data di uscita: 1 maggio 2013.

Nonostante il fil-cecchinoilm sia una coproduzione che ha coinvolto Italia, Francia e Belgio, si respira l’aria propria del noir francese nella pellicola di Michele Placido, scritta a quattro mani da Cédric Melon (che ritaglia per se un piccolo ruolo, quello di un poliziotto in motocicletta) e Denis Brusseaux.

Gli ingredienti dei film di genere ci sono tutti, dalla rapina mal riuscita, al misterioso cecchino, ai tradimenti, alle fughe rocambolesche, agli omicidi, fino agli inaspettati colpi di scena.

Daniel Auteuil veste perfettamente i panni del capitano Mattei, che caratterizza nel profondo, anche solo con un’espressione del volto, e Mathieu Kassovitz non è da meno in quelli di Vincent Kaminski, l’uomo del mistero.

Nel cast c’è anche un po’ d’Italia, con Luca Argentero, che interpreta uno dei componenti della banda di rapinatori, e Violante Placido, nel ruolo di sua moglie.

Placido, che nel film è presente con un cammeo, è abile dietro alla macchina da presa, sono molto ben girate le scene iniziali dell’inseguimento in macchina, o quelle sui tetti parigini. Alcune inquadrature strette sui protagonisti acuiscono la tensione del girato, che lascia nello spettatore un senso d’inquietudine.

Il racconto procede a ritmo serrato, grazie anche ad un ottimo montaggio e ad una fotografia perfetta, che ingrigisce le riprese, mostrando una Parigi ordinata, bella e malinconica, cui si contrappongono le scene nei boschi della periferia, dove la natura selvaggia, a momenti impenetrabile, sembra quasi essere metafora della vita dei protagonisti.

Qualche difetto però il film ce l’ha, primo fra tutti quello di aver voluto mettere un po’ troppa carne al fuoco, con colpi di scena che poco aggiungono ad una struttura filmica di per se funzionante, ma appesantiscono inutilmente il racconto; un altro è la scarsa veridicità di alcune scene, ad esempio, in un momento cruciale delle indagini, per aumentare il coinvolgimento emotivo dello spettatore, si portano civili sulla scena di un crimine, come fosse normale.

Nel complesso comunque il lavoro di Placido supera l’esame, risultando veramente godibile.

Maria Grazia Bosu

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