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Good – Recensione

Il collaborazionismo ai tempi di Hitler raccontato tramite l’interpretazione di uno splendido Viggo Mortensen, nei panni di un professore in crisi

Regia: Vicente Amorim – Cast: Viggo Mortensen, Jason Isaacs, Steven MacKintosh, Mark Strong, Jodie Whittaker, Guy Henry, Gemma Jones, Charlie Condou, Ruth Gemmell, Rick Warden, Anna Mária Cseh – Genere: Drammatico, colore, 96 minuti – Produzione: Gran Bretagna, Germania, 2008 – Data di uscita: 26 ottobre 2008.

goodIl declino morale di un uomo, professore universitario e padre di famiglia, raccontato nel periodo che va dall’ascesa di Adolf Hitler, fino alla dittatura tedesca: questo è “Good”, sesto film del regista Vicente Amorim, interpretato da uno splendido Viggo Mortensen ancora una volta abile nel dimostrare la sua ecletticità e la perfetta capacità di un trasformismo senza precedenti.

Ambientato in pieno nazismo, “Good” racconta la storia di John Alder (Viggo Mortensen), professore universitario con problemi familiari che, entrato in completa confusione mentale, rivoluziona completamente la sua vita quando gli esponenti di spicco del Reich gli chiedono di scrivere un saggio, ispirato ad un suo precedente romanzo. Il successo del libro e le pressioni del partito lo spingono a rimettere in gioco tutte le sue convinzioni ed a sconvolgere la sua esistenza e quella di chi gli sta accanto.

Infelice con la sua famiglia, Hadler si lascia sedurre da una sua studentessa, che diventerà sua moglie, e mette in discussione il suo rapporto con Maurice (Jason Isaacs), suo medico (psicanalista) e amico. Ma quel che è peggio, tradisce se stesso, iscrivendosi al Terzo Reich (e prendendo parte alle SS), andando contro le sue antiche convinzioni che lo avevano portato, in un primo tempo, ad opporsi alla filosofia nazista.

Amorim racconta la vicenda di Hadler in un susseguirsi di flashback e flashforward, tecnica ormai usata ed abusata dai registi che sembrano non poterne fare a meno: peccato però che, in alcuni momenti, i salti temporali risultino troppo confusionari e non si riesca a capire in quale momento si trovi la vita del protagonista. Pertanto, la narrazione purtroppo non scorre sufficientemente liscia tanto da consentire una comprensione immediata di quanto sta accadendo.

È invece interessante stare a guardare l’uso che Amorim fa della musica in “Good”: non è solamente il tema portante della crisi iniziale di Hadler (la moglie, con la quale non è felice e che decide di lasciare, è pianista) ma, nei rari momenti in cui il protagonista ha delle prese di coscienza di come la sua vita stia cambiando, e non in meglio, attacca a suonare una melodia che solo lui riesce a sentire.

Una sorta di allucinazione in stile “A Beautiful Mind”, un escamotage onirico-narrativo utile ad entrare, seppur minimamente, nella psicologia del personaggio. Un film, in sostanza, senza grossi “picchi” di interesse, il cui valore aggiunto è costituito proprio dall’interprete principale, Viggo Mortensen, convincente nella sua prova così intensa di un carattere tanto controverso e complesso.

d.c.

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