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Giovani si diventa – Recensione

  • Titolo originale: While We’re Young
  • Regia: Noah Baumbach
  • Cast: Ben Stiller, Naomi Watts, Adam Driver, Amanda Seyfried, Charles Grodin, Adam Horowitz
  • Genere: Commedia drammatica, colore, 97 minuti
  • Produzione: USA, 2014
  • Distribuzione: Eagle Pictures
  • Data di uscita: 9 luglio 2015.

Metacinema e adorazione capricciosa di una gioventù ideale per un un confronto generazionale fittizio e un ripiegamento interiore, tutto umano, sul tempo che passa

locandina giovani si diventaLa tensione dialettica che permea “Giovani si diventa” comincia a manifestarsi sin dalla prima inquadratura, in cui però non c’è alcuna messa in scena: si tratta di una citazione da “Il costruttore Solness” – dramma di Henrik Ibsen composto nel 1892 – in cui il protagonista riporta in dialogo il terrore che nutre nei confronti dei giovani, pronti a soppiantarlo e a rubargli il successo economico e il riconoscimento sociale. «Open your door», gli viene proposto a più riprese, e l’ostinato costruttore rimane indeciso e timoroso.

Questa stessa tensione dialettica ha poi modo di manifestarsi nel contatto – soprattutto verbale, ma significativo nei pochi casi in cui diviene anche scambio fisico – tra due coppie, una composta da quarantenni senza figli e in crisi di identità relazionale, Ben Stiller e Naomi Watts, l’altra formata da due giovani hipsters, Adam Driver e Amanda Seyfried, liberi, disinvolti e creativi. Il contatto è dato dal lavoro comune dei due elementi maschili delle coppie – che poi ricoprono effettivamente un ruolo preminente nell’evoluzione della vicenda narrativa – poiché entrambi sono documentaristi: l’uno, più anziano, è voglioso di emergere in modo forte, autonomo e autoriale, anche subendo l’influenza del suocero, anch’egli affermato regista e produttore di documentari; l’altro – giovane, scaltro e ancor più ambizioso – punta a costruire una maschera sociale accattivante al fine di procacciarsi fondi e idee per il suo documentario.

Il racconto procede perciò su due binari prima paralleli e, infine, convergenti: da un lato l’attrazione irresistibile esercitata dai giovani sui “vecchi”, che vedono nella frequentazione e nell’imitazione dei ragazzi la possibilità di vivere una nuova spensierata fanciullezza, di dare una svolta innovativa alla loro stessa relazione; dall’altro il procedere dei lavori dei due documentaristi, con il giovane che, più astuto e disposto a scendere a compromessi pur mantenendo un’aura libertaria e indipendente attorno a sé, riesce a poco a poco ad avere la meglio e a rubare la scena e il riconoscimento all’amico di turno. Lo svelamento demistificante porta infine a un ritorno alle origini: lo scimmiottamento patetico dei giovani si rivela per quel che è, ovvero un’inutile divagazione, un trucco destinato ad esaurire ben presto la sua carica sovversiva, e conduce la coppia protagonista a riflettere su di sé, per arrivare ad accettare infine la propria età e la propria situazione. Niente più complessi di inferiorità nei confronti degli amici di un tempo, dunque, tutti presi dai loro pargoli; ma lo stesso discorso vale per i giovani, circondati da un’aura accattivante e “innocente”, ma in fondo sospinti dalle stesse pulsioni arrivistiche dei più anziani che mirano a soppiantare.

Baumbach ripiega su una convenzionalità espressiva poco audace, frustrando le sue potenzialità di scrittura

Rispetto a “Frances Ha”, Noah Baumbach tiene a freno le dinamiche esplosive sia a livello di scrittura che di regia, adagiandosi forse un po’ troppo su un cast di livello elevato e riducendo così lo sperimentalismo formale e dinamico che aveva caratterizzato il suo lavoro precedente: per molti versi “Giovani si diventa” è un film meno audace negli scambi dialogici – pur ben scritti, ma non così mordenti e spontanei –, oltre che un compito ben svolto a livello tecnico, ma limitato spesso su un piano di convenzionalità rappresentativa tipica della nuova commedia sofisticata di stampo hollywoodiano, incapace di valorizzare l’espressività degli attori così come invece era accaduto con la prestazione superba di Greta Gerwig. E il discorso è applicabile, anzi in misura ancora maggiore e più convinta, sul piano della fotografia e del montaggio: nel primo caso, pur avvalendosi della collaborazione di Sam Lévi, già direttore di fotografia per “Frances Ha”, si passa a un cromatismo acceso, funzionale al tono del racconto, per corroborare inquadrature ampie e ben definite; nel secondo caso, i ricorsi al campo/controcampo e al montaggio alternato, applicato nella fase cruciale dell’evoluzione narrativa, rimandano a schemi canonizzati di configurazione visiva, ben lontani sia dall’intensificazione offerta dagli scorci in bianco e nero di una New York atipica, sia dalle trovate registiche – ralenti, inquadrature fisse, vette di lirismo – volte ad enfatizzare le relazioni fisiche e verbali tra i personaggi turbati e perturbanti del film precedente.

“Giovani si diventa” rimane una buona prova di scrittura e un film gradevole sia a livello di sviluppo narrativo che di rappresentazione, limitato però da una trattazione troppo leggera e disinteressata del tema predefinito, ovvero una riflessione sull’accettazione del tempo che, inesorabile, scorre – con tanto di consolazione finale. Da Baumbach era lecito attendersi qualcosa di più.

Marco Donati

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