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Giovani ribelli – Kill Your Darlings – Recensione

La vera storia mai raccontata di quattro giovani studenti della Columbia University destinati a imprimere il loro nome nella storia della letteratura

(Kill Your Darlings) Regia: John Krokidas – Cast: Daniel Radcliffe, Elizabeth Olsen, Ben Foster, Michael C. Hall, Jack Huston – Genere: Biografico, colore, 143 minuti – Produzione: USA, 2013 – Distribuzione: Notorius – Data di uscita: 17 ottobre 2013.

giovaniribelliCon “Giovani ribelli – Kill Your Darlings” il regista John Krokidas, anche grazie a un’azzeccatissima colonna sonora, con una certa eleganza riesce a far respirare l’aria che tirava nei corridoi della Columbia University, mentre nel vecchio continente l’esercito americano liberava l’Europa dal nazismo.

I protagonisti sono degli studenti della Columbia e altri giovani intellettuali newyorkesi, tutti accomunati da una profonda intolleranza verso il pragmatismo culturale che caratterizzava le accademie americane in quel periodo. La missione intellettuale di cui si fanno carico è quella di proporre un nuovo approccio alla cultura, una “nuova visione” del tutto irrispettosa verso i canoni di quella classica.

Già detta in questi termini la trama sembrerebbe avvincente, se poi si considera anche che è tratta da una storia vera e che i nomi di alcuni dei protagonisti sono quelli che oggi figurano tra quelli dei più grandi della letteratura americana, il film diventa imperdibile.

Quella che vuole raccontare Krokidas è, infatti, l’avvincente storia di quel gruppo di giovani intellettuali avanguardisti di cui hanno fatto parte, tra gli altri, Allen Ginsberg (Daniel Radcliffe), Jack Kerouac (Jack Huston) e William S. Borroughs (Ben Foster) che vengono cosi raccontati nella loro immaturità, nel pensiero caotico dal quale poi è venuta la creazione. Il genio di questi autori nel film si esprime esclusivamente attraverso il bisogno di emanciparsi dalla cultura classica e percorrere la propria strada, anche urlando per farsi sentire, fin quando, però, non si troveranno in qualche modo assordati dalla loro stessa voce. Alla fine, simbolicamente, sarà proprio la cultura classica a salvarli prestando i suoi strumenti e chiedendo in cambio solo ciò che, prima o poi, per un autore valido è inevitabile che accada, ovvero l’annoveramento tra i suoi grandi nomi.

Il regista mostra tutto ciò allo spettatore, facendolo correre al di sopra delle turbolente vite dei protagonisti, fra un locale e un altro, tra un whisky e uno spinello, sempre verso l’illecito, concepito come un possibile nuovo luogo della cultura. Una spirale discendente con una pendenza pericolosa, che ha rischiato di rovinare e forse l’ha fatto i protagonisti, ma li ha resi ciò che sono e per sempre saranno.

Claudio Di Paola

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