Tra amore platonico e ossessione maniacale, un parallelismo tra vita ed arte che si scontra con la realtà
Regia: Anne Fontaine – Cast: Fabrice Luchini, Gemma Arterton, Jason Flemyng, Isabelle Candelier, Niels Schneider – Genere: Drammatico, colore, 99 minuti – Produzione: Francia, 2014 – Distribuzione: Officine Ubu – Data di uscita: 29 gennaio 2015.
“Gemma Bovery” è un film che gioca sui confini, sotto diversi aspetti: confine di generi, con la commistione di commedia brillante e dramma sentimentale, riverberata nell’altalena del registro narrativo; confine di mezzi espressivi, tra cinema e letteratura, in un doppio binario che regge la struttura dall’inizio alla fine, tra ammiccamenti e citazioni intertestuali.
Martin Joubert è un panettiere fortemente segnato dalle letture giovanili: è lui il personaggio chiave del film, in primo luogo perché è dalla sua prospettiva che la vicenda prende avvio e si sviluppa. Ad interpretarne la parte troviamo uno straordinario Fabrice Luchini, capace di racchiudere in alcuni sguardi e in alcune battute sentimenti contraddittori: tenerezza e ossessività, autoironia e volontà di potenza. Del resto, lo stesso Martin è un personaggio al confine: un po’ dentro la storia e un po’ fuori, in qualità di narratore extradiegetico che fa l’occhiolino allo spettatore e ammorbidisce la narrazione, conferendole un tono in alcuni tratti confessionale, in altri da storiella tra amici radunati attorno a un fuoco scoppiettante.
Le vicende della vita vanno avanti per conto loro, poi a un certo punto sembra che una convergenza di fattori le faccia esplodere tutte assieme. La vita di Martin è sconvolta in un giorno qualsiasi, quando in un paesello francese fa la sua comparsa una coppia di inglesi dai nomi particolari: Gemma Bovery e il marito Charles. I due cercano una vita quieta, lontana dai trambusti metropolitani di Londra. Per il panettiere la faccenda appare incredibile: Gemma e Charles – lei: giovane, bella e sensuale; lui: uomo maturo, apatico e piuttosto ordinario – sembrano inconsapevolmente incarnare sotto molti aspetti i personaggi del capolavoro flaubertiano. L’adorazione per Gemma scatta spontanea, lo scambio di poche parole lascia intravvedere l’eccezionalità della ragazza: un “gesto insignificante”, un sorriso radioso, è sufficiente per ridestare nell’anziano un moto dell’anima assai affine all’eccitazione sessuale; ma allo stesso tempo è qualcosa in più: Joubert finisce per vedere nell’inglesina il suo personaggio, tutto da plasmare.
In piedi di fronte alla sua panetteria, Joubert osserva la bella Gemma e il giovane studente Hervé al mercato, volgendo lo sguardo alla macchina e confidando allo spettatore di sentirsi come «un regista che ha appena esclamato: Azione!». La piega assunta dall’evolversi delle vicende appare inizialmente spontanea. Lo studentello sembra per Gemma ciò che il signorotto Rodolphe è per la Emma di Flaubert: l’aspirazione al piacere, una possibilità di evasione concreta dall’aggressione della monotonia. La scintilla scocca seduta stante. In seguito, però, Joubert si mette in testa di modificare il corso delle cose, ed è qui che viene ad assumere il suo ruolo di deus ex machina, a partire da una convinzione: «A volte, sembra che la vita imiti l’arte.» Tale convinzione è destinata però ad infrangersi contro l’inamovibile scoglio del reale, e a rendere la faccenda ancor più complicata è l’insidia proveniente dalla vita – quella vera – di Gemma, che si trova a fare i conti con emergenze del passato. Joubert regredisce così dallo stato di deus ex machina a quello di voyeur, dalla posizione di regista interno di vicende e sentimenti a quella di anziano ossessivo con derive maniacali.
Il parallelismo con Madame Bovary è chiaramente una forzatura dettata dalla fissazione di un panettiere – assecondata da molti elementi di casuale convergenza che incidono molto sull’aspetto umoristico del film, a tratti brillante. L’inglese Gemma svela la sua natura a poco a poco, e questa sua natura è in netto contrasto con il personaggio letterario: in primis, non è particolarmente sensibile alla letteratura stessa, con gran dolore del panettiere; in secondo luogo Gemma, pur essendo una ragazza serena e generosa e non una fata ammaliatrice, è anche, a tutti gli effetti, una femme fatale, un’ape regina attorno alla quale ruotano degli uomini. Uomini che sanno infliggerle ferite difficili da cicatrizzare.
La regia è pulita, le inquadrature ampie e luminose, l’accompagnamento musicale segue bene l’alternarsi di registri diversi. La dominante erotica è caratteristica fondamentale, almeno finché l’incanto della simmetria tra vita e arte regge: l’amore nutrito dall’anziano panettiere nei confronti della bella straniera è un amore platonico, intellettuale, e in questo senso l’erotismo che permea molte scene funge da valido surrogato dell’amor carnale che non viene consumato. Nel momento in cui Gemma sfugge al controllo di Joubert, tuttavia, ecco che la stessa carica erotica viene ad assumere una funzione diversa, come di disincanto rispetto a ciò che la vita ha realmente da offrire, al di là delle divagazioni fantastiche di un sognatore.
Marco Donati