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Gardener of Eden – Il Giustiziere Senza Legge – Recensione

Dalla comicità alle atmosfere noir per finire nel sentimentalismo: “Gardener of Eden – Il Giustiziere Senza Legge” compie una parabola di genere appoggiandosi sull’incerto Lukas Haas

(Gardener of Eden) Regia: Kevin Connolly – Cast: Lukas Haas, Erika Christensen, Giovanni Ribisi, Jerry Ferrara, Jon Abrahams – Genere: Drammatico, colore, 88 minuti – Produzione: USA, 2008 – Distribuzione: Medusa – Data di uscita: 20 giugno 2008.

gardener-of-eden-i-giustiziere-senza-leggeNe è passato di tempo da quando Lukas Haas interpretava Samuel, bambino Amish testimone di un omicidio politico nei bagni di una stazione nel bellissimo “Witness” di Peter Weir. Ora è un lungagnone di 32 anni con gli stessi occhi da cerbiatto e delle grosse orecchie a sventola eppure ancora non in grado di reggere da solo il ruolo di protagonista in “Gardener of Eden” del quasi esordiente regista e affermato attore di serial tv, Kevin Connolly.

Già, perché questo curioso indie film, prodotto nientedimeno che da Leonardo Di Caprio, avrebbe avuto bisogno di un interprete di ben altro spessore, in grado di passare con disinvoltura dal registro comico dell’inizio, alle successive atmosfere quasi taxidriveriane.

Inizia infatti come uno slackers movie, con un gruppo di amici di Bickleton (sobborgo di NYC) dediti a passare le giornate rubacchiando nel posto di lavoro, facendosi scherzi e occupando abusivamente piscine altrui, senza grosse ambizioni e prospettive per il futuro. In particolare Adam, (Haas per l’appunto), viene considerato un triste perdente dalla sua famiglia fino a quando, dopo una notte di bisboccia, causa l’arresto, in maniera assolutamente casuale, di un pericoloso stupratore.

Diventa così il più improbabile degli eroi, autoconvincendosi che per dare un senso alla sua vita si deve trasformare in un giustiziere solitario che sappia riportare l’ordine e la giustizia nelle strade. Per fare ciò si sottopone ad un duro allenamento fisico, aiutato anche dal padre veterano del Vietnam (poteva mancare?) e comincia a girare, novello Travis Bickle, per i quartieri più malfamati di New York alla ricerca di ladri e spacciatori da punire (e tra questi ultimi, spicca un bravissimo Giovanni Ribisi).

Questa fase noir del film viene nuovamente stravolta dalla relazione che Adam allaccia con Mona (Erika Christensen), l’ultima vittima del violentatore che aveva mandato in carcere. A questo punto Connolly cambia nuovamente obiettivo puntando l’attenzione alla tenera relazione che nasce tra i due, fino al gran finale, quando Adam arriva alla conclusione che, tutto sommato, essere il Charles Bronson dei giorni nostri non è il modo migliore per “fare la differenza”.

Prima però c’è di mezzo il processo che dovrebbe condannare l’aguzzino di Mona, nel corso del quale Adam sarà provvidenzialmente anticipato nella sua sete di vendetta. L’immagine finale, con i fotogrammi che senza una chiara motivazione narrativa si trasformano in tavole di un fumetto, rinforza la convinzione che tutta la carne messa al fuoco da Connolly in un’ora e mezza voglia in realtà mascherare un’indecisione di fondo su cosa diventare da grande.

Vassili Casula

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