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Fughe e approdi – Recensione

Fughe e approdi: con questo documentario Giovanna Taviani compie un viaggio nella Memoria personale e storica

Regia: Giovanna Taviani – Cast: Francesco D’Ambra – Genere: Documentario, colore, 80 minuti – Produzione: Italia, 2010. – Distribuzione: Cinecittà Luce – Data di uscita: 8 aprile 2011.

fughe-e-approdiCome recita il titolo, il viaggio in cui ci accompagna Giovanna Taviani è un dialogo continuo tra fughe e approdi, un discorso eternamente aperto tra piccole storie di uomini perse nel tempo e la grande Storia della Memoria. E la Memoria è forse il fulcro romantico e insieme spaventoso dell’opera prima della cineasta, che ripercorre il passato, quello personale, quello storico e quello della Settima Arte riuscendo con amabile destrezza ad amalgamare ogni cosa in un tessuto inestricabile. E tutto, finalmente nella pratica e non solo nell’antica teoria filosofica, diventa Uno.

Giovanna torna nella terra dove da piccola aveva interpretato la parte di una ragazzina isolana in viaggio con i fratellini e la mamma nel film “Kaos” dei fratelli Taviani. La trova uguale, dolce e spaventosa al tempo stesso, culla di tradizioni, di bellezza primordiale, di ancestrali leggende, di bios e tanatos.

E la Natura, infatti, è la madre e la sorella di ogni tema affrontato. La Taviani, e noi con lei, siamo accompagnati e, letteralmente, trasportati in questo percorso di scoperta e conoscenza da Figliodoro, vecchia conoscenza della regista, già pescatore-navigatore in “Kaos”. Qui il barcaiolo, isolano di Lipari, uomo mitologico come Caronte, fende le acque da Lipari a Vulcano a Stromboli, e come Virgilio agisce da mentore, da pastore, da ponte tra la bambina di un tempo, curiosa come allora ma consapevole, e la vita dell’isola, i ricordi della gente del posto. È Figliodoro infatti a raccogliere storie e leggende, ad agire da narratore e a trasportarci materialmente nella realtà del posto, fatto espressamente coadiuvato dal dialetto.

Tutti i personaggi usano la lingua ‘di casa’ per comunicare, facendo penetrare lo spettatore nella genuina concretezza del posto, aiutato nella comprensione dall’ausilio dei sottotitoli, scelta stilistica davvero opportuna. Con Figliodoro si entra nelle cave di pomice, attraverso l’occhio oggettivo della telecamera e quello soggettivo della gente che racconta stralci di vita vissuta. Ammiriamo il castello dei forzati dell’Ottocento e dei confinati anti-fascisti, sappiamo della favolosa e irrazionale storia d’amore tra Edda Ciano e Leonida Bongiorno, sottosegretario del PCI della sezione di Lipari. E mentre seguiamo di spalle Figliodoro, siamo indotti, come sotto un effetto stupefacente, a perderci tra i colori del Presente, e il bianco-nero o il seppia del Passato che ci parla attraverso le tracce, le immagini, le figure del Cinema nostrano di qualche tempo fa, firmatoda registi immortali come Rossellini, Antonioni, Moretti, De Seta, Nisi e Dieterle. A testimoniare il fascino senza tempo di queste isole, quindi, giunge l’eco del cinema stesso, così che il documentario (termine che sta stretto all’opera della Taviani) diventa un dialogo, ancora una volta, ma questa volta metafilmico. È cinema che parla di cinema, arte che parla di arte, e costantemente con la leggerezza e la finezza di un tocco artistico che sa di donna e sa di artista.

Un plauso anche alla colonna sonora, che insieme alla divisione in capitoli-storie, riesce bene a scandire il ritmo del Viaggio e a ninnarci nel sogno.

In conclusione, non un documentario, non un film, ma una affascinata dichiarazione d’amore alla Natura, al Tempo, al Cinema.

Dalila Lensi

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