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Figli delle stelle – Recensione

Lucio Pellegrini al cinema con una commedia nostalgica e amara che riflette sulla condizione di precarietà e sbandamento dell’Italia odierna

Regia: Lucio Pellegrini – Cast: Pierfrancesco Favino, Fabio Volo, Giuseppe Battiston, Claudia Pandolfi, Paolo Sassanelli, Giorgio Tirabassi, Teco Celio, Fausto Sciarappa, Pietro Ragusa, Camilla Filippi, Lydia Biondi, Chiara Tomaselli, Antonello Piroso, Fabrizio Rondolino – Genere: Commedia, colore, 102 minuti – Produzione: Italia, 2010 – Distribuzione: Warner Bros Italia – Data di uscita: 22 ottobre 2010.

figlidellestelle“Come due stelle noi silenziosamente insieme ci sentiamo”, recita così la canzone di Alan Sorrenti “Figli delle stelle”, scelta da Lucio Pellegrini come titolo per il ritorno al grande schermo dopo la fiction televisiva “I Liceali”. Proprio questa strofa rappresenta al meglio i protagonisti, Pepe (Pierfrancesco Favino,), Toni (Fabio Volo), Ramon (Paolo Sassanelli), Bauer (Giuseppe Battiston), che si improvvisano sequestratori del politico sbagliato, il sottosegretario Stella (Giorgio Tirabassi).

Personaggi vintage, sospesi in una realtà che non li accetta e li lascia precari non solo nel lavoro, ma anche nella vita. La frustrazione che attanaglia l’Italia e scoraggia sempre di più i giovani e i meno giovani è analizzata in chiave cinica nel film, mantenendo sempre la vena comica, essendo il film una commedia e non un trattato politico.

È proprio questo senso di disagio che tiene uniti uomini diversi fra loro, ma ugualmente rifiutati o ai margini della società, senza prospettiva futura e pieni di insoddisfazione. Disagio che viene sfogato in un rapimento a fin di bene dell’unico politico italiano dipinto come leale e fedele ai propri ideali, che lo avevano spinto a lasciare il giornalismo per il Parlamento. Un gruppo di sbandati, come l’Italia allo sbando, che nonostante tutto riesce ad organizzarsi e a sopravvivere, in parte, a quello che poteva essere considerato l’errore più grande della loro esistenza.

Lucio Pellegrini alterna momenti di pura comicità, come le battute dall’accento variabile di Pierfrancesco Favino, che spazia dal romanesco, all’umbro sino a toccare punte di siciliano, a momenti più seri, ma non sempre in armonia con la ritmicità del racconto. Un aspetto interessante è inoltre il confronto fra i metropolitani abitanti delle grandi città e gli onesti cittadini della provincia.

Questi ultimi sono talmente indaffarati a badare alle proprie realtà da non curarsi dell’etica morale che generalmente viene loro attribuita. Nel complesso un film, nonostante tutto, a tratti nostalgico che, attraverso le tutine da sci anni ’80, fa un salto nel passato a cui i protagonisti appartengono, dove ancora esistevano ideali per cui lottare e vere rivoluzioni da attuare.

Eva Carducci

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