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Fantasticherie di un passeggiatore solitario – Recensione

  • Regia: Paolo Gaudio
  • Cast: Alessia Alciati, Angélique Cavallari, Nicoletta Cefaly, Domiziano Cristopharo, Nancy de Lucia, Fabrizio Ferracane, Fabiano Lioi, Luca Lionello, Lorenzo Monaco, Luigi Ottolino, Paolo Ricci, Selene Rosiello, Erika Russo, Luca Vecchi, Claudio Vitturini
  • Genere: Animazione
  • Durata: 83 minuti
  • Produzione: Italia 2014
  • Distribuzione: Mediaplex
  • Data di uscita: 19 Novembre 2015

“Fantasticherie di un passeggiatore solitario”: un fantasy artigianale e tecnicamente coraggioso

fantasticherie_di_un_passeggiatore_solitarioIl primo lungometraggio di Paolo Gaudio è un esperimento assolutamente peculiare nella temperie asfittica della produzione cinematografica italiana: una commistione vulcanica e visionaria di animazione, recitazione, riprese in stop motion, primissimi piani stranianti e trovate registiche sempre tendenti allo scarto originale.

La storia, di impostazione marcatamente fantastica, è tripartita: le linee narrative si evolvono autonomamente attorno a un punto nevralgico di connessione, quello fornito da un manoscritto, dal titolo “Fantasticherie di un passeggiatore solitario”, che è allo stesso tempo un percorso di formazione e un ricettario le cui indicazioni permettono di vivere esperienze fuori dall’ordinario.

Vanno così ad intersecarsi tre vicende: la prima, quella di Theo, giovane universitario piuttosto asociale e avido lettore, che scopre per caso il manoscritto e tenta di metterne in atto le proprietà magiche; la seconda, quella di Jean Jacques Renou, che in un piccolo monolocale sul finire dell’Ottocento combatte contro demoni e ossessioni per terminare la scrittura; la terza, quella di un bambino e di un vecchio smarriti in un bosco: si tratta dei protagonisti del testo di Renou, quello stesso manoscritto da cui Theo non riesce più a distogliere gli occhi.

La parte propriamente animata è solo la terza, quella dell’avventura nel bosco in cui si consuma uno scambio generazionale dai tratti piuttosto stranianti. Ma tutto il film è percorso da una vena un po’ onirica e un po’ fiabesca, che destabilizza i confini e lascia che l’animazione fluisca nella recitazione, e viceversa. Non c’è un’inquadratura che non sia studiata nei minimi dettagli, che non abbia in sé un carico di ricerca sperimentale: un’esaltazione tecnica che rischia di sfociare in un virtuosismo un po’ compiacente, ma la visionarietà del regista lascia trasparire in filigrana un bel connubio tra passione entusiastica per il genere, a volte anche eccessiva, e padronanza tecnica di livello piuttosto elevato; non mancano alcuni giri a vuoto, legati però non tanto all’alternanza nelle inquadrature, quanto al ritmo a volte traballante dettato dalla scrittura.

“Fantasticherie di un passeggiatore solitario”: la poetica dell’incompiuto

Sarebbe del resto riduttivo valutare la qualità del film di Gaudio in una prospettiva esclusivamente tecnico-stilistica, anche se certamente qui risiede il nucleo sovversivo e seriamente innovativo della proposta, assolutamente fuori da ogni standard produttivo nostrano. Ma il film ha anche una sua poetica, niente affatto scontata, infarcita di citazioni e riferimenti letterari – a partire dal titolo, che ricalca quello di un’opera del filosofo francese Jean-Jacques Rousseau, e passando per i ritratti stilizzati di Edgar Allan Poe e gli inserimenti strutturali di “Pinocchio”, proposto qui in una peculiare versione ‘esplosiva’, e di un volume storpiato di “Alice nel Paese delle Meraviglie”.

Sono diversi i temi che si affastellano nella narrazione, a tratti un po’ confusa ma sempre viva e fluttuante: lo scontro tra passione creativa e ossessione sentimentale, nella vicenda dello scrittore interpretato da Luca Lionello; un infantilismo sempre alla ricerca della meraviglia letteraria, mediato però dalla consapevolezza dei tremendi traumi familiari ancora non cicatrizzati  e confluente infine in quella Vacuitas che è anche il bosco magico in cui Theo, il giovane protagonista, prova ad attuare la Fantasticheria numero 23; lo smarrimento generazionale e in senso lato esistenziale che accomuna il bambino e l’anziano sperduti in un luogo e in una situazione dei quali non riescono a venire a capo.

Filo conduttore unificante è il senso di incompiutezza che permea i diversi racconti e conferisce profondità umana ai loro sviluppi fantastici: incompiuto è il manoscritto, come destinato all’incompiutezza è il percorso di ogni personaggio coinvolto, in un viaggio collettivo verso terreni inesplorati che è allo stesso tempo un viaggio dentro sé stessi.

Marco Donati

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