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Fango e gloria – Recensione

Tra documentario e fiction, una costruzione narrativa che si pone l’obiettivo di dare un volto e uno spessore umano al simbolo del Milite Ignoto durante la Prima Guerra Mondiale

Regia: Leonardo Tiberi – Cast: Eugenio Franceschini, Valentina Corti, Domenico Fortunato, Francesco Martino – Genere: Storico, colore, 90 minuti – Produzione: Italia, 2014 – Distribuzione: Istituto Luce – Cinecittà – Data di uscita: 16 ottobre 2014.

fangoegloria-loc“Fango e gloria” è un documentario tecnicamente innovativo: avvalendosi del materiale dell’archivio storico dell’Istituto Luce, Leonardo Tiberi – che dello stesso Istituto è stato direttore editoriale per diciotto anni, dal 1991 al 2009 – ha lavorato con la sua équipe tecnica a un processo di restaurazione, digitalizzazione e colorazione delle immagini; l’obiettivo, pienamente raggiunto, risponde alla doppia finalità di attualizzazione e drammatizzazione del repertorio rappresentativo di un periodo storico tragico come quello della Prima Guerra Mondiale. L’umanità che si dimena nel gran teatro della carneficina assume una nuova gamma di sfumature – nel dinamismo delle immagini, nel cromatismo essenziale – capace di renderla nelle sembianze ancora più vicina e concreta alla sensibilità dello spettatore, abbattendo il filtro dell’approssimazione tecnica dell’epoca (e non ce ne vogliano i filologi dell’immagine, che pure hanno le loro ragioni: l’operazione, nella prospettiva della fruizione artistica a cui è destinata, ha una sua validità).

“Fango e gloria” è anche una fiction, e qui il discorso cambia. Sin da subito la rappresentazione cade in una banalizzazione eccessiva e in una retorica semplicistica, che si scontrano con l’ambizione narrativa del film: la personificazione di un emblema – il Milite Ignoto – dentro al quale si racchiudono in un unico nucleo gli slanci vitali, i desideri repressi e i destini crudeli di una fetta di umanità, quella costituita dai caduti anonimi, coloro di cui si sono perse le tracce identificative, finiti nel limbo della non riconoscibilità.

La vicenda di Mario, borghese benestante proveniente dalla riviera romagnola, legata all’umanità che gli gira attorno – la ragazza Agnese, l’amico Emilio, il padre sempre prodigo di saggi consigli – è innestata su binari rispondenti a stereotipi narrativi e retorici di propaganda antibellica abusati e a tratti esasperanti, scanditi nella graduale discesa agli inferi del protagonista: la chiamata sul fronte trentino, l’abbandono del’amata con il corredo di promesse difficili da mantenere, l’entusiasmo giovanile sconvolto dalla nuova situazione di vita estrema; fino all’apoteosi patetica finale – la caduta, la morte, la perdita dell’identità, il fato inoppugnabile – nella quale dovrebbe assumere forma la simbolizzazione della vicenda, l’universalizzazione del particolare, il trascendente nel contingente: ciò che però non avviene.

L’aspetto della finzione nell’opera, ovvero il lato più propriamente artistico, è debole; non riesce la commistione con la profondità documentaristica delle immagini d’epoca restaurate, queste sì capaci di richiamare la rappresentazione dell’orrore – un richiamo tanto più incisivo se svincolato da velleità narrative. Il didascalismo di fondo – che assume la forma pedagogica di una lezione scolastica sul conflitto – si reitera nella monotonia della voce narrante di Mario, esterna alla narrazione, in un procedimento di spersonificazione anch’esso poggiato sul tentativo di assurgere la vicenda a funzione di emblema.

Dal punto di vista della rappresentazione documentaristica, con il lavoro tecnico approfondito che c’è alle spalle, “Fango e gloria” risulta un esperimento riuscito. Purtroppo è impossibile valutare il film non tenendo conto dell’aspetto della narrazione pura, costituendone questa la cifra stilistica dominante: e qui la pellicola somiglia molto a un tema scritto in maniera pulita e ordinata, rispondendo allo schema strutturale di un compito scolastico che non contiene in sé nulla di originale. In questo senso ben si innesta in una prospettiva di propaganda antibellica nel contesto della celebrazione di una contingenza particolare, quella che unisce il centenario della Prima Guerra Mondiale ai novanta anni dell’archivio storico dell’Istituto Luce.

Marco Donati

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