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Enter the Void – Recensione

A sette anni da “Irreversible”, torna Gaspar Noè con il suo “The Tree of Life” imbevuto di acido

Regia: Gaspar Noé – Cast: Nathaniel Brown, Paz de la Huerta, Cyril Roy, Olly Alexander, Masato Tanno, Ed Spear, Emily Alyn Lind, Jesse Kuhn, Nobu Imai, Sakiko Fukuhara, Janice Béliveau-Sicotte, Sara Stockbridge, Stuart Miller, Emi Takeuchi – Genere: Drammatico, colore, 154 minuti – Produzione: Francia, Germania, Italia, 2009 – Distribuzione: Bim – Data di uscita: 9 dicembre 2011.

enterthevoidNon si sa se quelli della BIM siano dei pazzi o dei benefattori. Forse entrambe le cose. Perché scegliere di togliere dal cassetto un film come “Enter the Void”, presentato a Cannes 2009 e ormai dato per disperso, e decidere di farlo uscire sotto Natale può rappresentare tanto un atto di inconsapevole follia quanto un coraggioso e meritorio salvagente gettato ai cinefili nella paludosa programmazione festiva, popolata quasi esclusivamente da cinepanettoni, cartoni animati e commedie romantiche.

Con 7anni7 di lavoro dopo il contestatissimo “Irreversible”, Gaspar Noè alza il tiro e sputa fuori un’opera larger than life, imperfetta ed eccessiva ma dotata di una dirompente potenza visuale che, fin dai furiosi titoli di testa, aggredisce la mente dello spettatore con il risultato di ricreare l’effetto di un trip a presa rapida.

Eppure sarebbe ingeneroso e riduttivo catalogare “Enter the Void” come semplice acid movie. Con le più che dovute proporzioni,

la prima analogia che balza in mente, a chi mesi dopo è ancora abbagliato dal film di Malick, è quella con “The Tree of Life”, non tanto per il substrato filosofico, la magistrale fotografia nature o le prove attoriali, quanto per la comune ambizione a racchiudere in quasi tre ore una storia che abbraccia la vita e quello che c’è prima, la morte e quello che c’è dopo.

Oscar, piccolo spacciatore americano trasferitosi a Tokyo, divide con la sorella Linda il dramma di essere rimasto orfano in seguito ad un tremendo incidente stradale. Ucciso dalla polizia durante un arresto, per non lasciare sola Linda, indifesa spogliarellista, il suo spirito non abbandona il mondo dei vivi e comincia a vagare sopra cose e persone in un crescendo di visioni distorte e allucinate tra passato, presente e futuro.

Il punto di vista della camera sono gli occhi di Oscar in carne e in spirito e questo permette a Noè di avere tutte le giustificazioni possibili per farci volteggiare in cielo e in terra, passando attraverso cose e persone, in una sorta di incubo in piano sequenza, con Tokyo perfetta location sordida, viziosa e anaffettiva, dominata da luci acide e dove gli esseri umani si muovono spinti solo dalla ricerca di droga o di sesso.

Nucleo centrale il trauma dell’incidente dei genitori che come per lo stupro di “Irreversible”costituisce l’elemento spartiacque del destino tra una vita protetta dagli affetti ed una di abbandono, dolore e conseguenti fughe dalla realtà. Certo, il dubbio che, come Noè ci ha abituato, il contenitore sia più importante del contenuto permane, e si accentua quando viene tirato in ballo niente meno che il Libro Tibetano dei Morti per prepararci al finale reincarnativo o quando assistiamo ad un’orgia fluorescente di quasi dieci minuti. L’importante è essere disposti a lasciarsi trascinare nel void del titolo, se non con l’ausilio delle sostanze chimiche che Noè ha candidamente ammesso di avere assunto durante la lavorazione del film, almeno con una bella overdose di torrone e pandoro.

Vassili Casula

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