Eco Del Cinema

Due vite per caso – Recensione

Un film sulla casualità e sulle scelte di vita, con una forte componente di denuncia sociale

Regia: Alessandro Aronadio – Cast: Lorenzo Balducci, Isabella Ragonese, Ivan Franek, Riccardo Cicogna, Sarah Felberbaum, Monica Scattini, Teco Celio, Rocco Papaleo, Ivano de Matteo, Niccolò Senni, Tatti Sanguineti, Roberta Fiorentini, Anna Ferzetti – Genere: Drammatico, colore, 88 minuti – Produzione: Italia, 2010 – Distribuzione: Lucky Red – Data di uscita: 7 maggio 2010.

due-vite-per-casoSe la vita fosse una linea retta che viaggia spedita senza inciampi, i punti nella quale viene intersecata, e che ne sbilanciano l’andatura, possono essere considerati come delle devianze dalle quali dobbiamo necessariamente fuggire. Non sempre però aver fatto la scelta più “dritta” costituisce il deterrente ideale per pascersi nella tranquillità della decisione presa.

Alessandro Aronadio, al suo film d’esordio, tratto da una raccolta di racconti di Marco Bosonetto “Morte di un diciottenne perplesso” (Baldini & Castoldi, 2003) e in concorso al Festival del Cinema di Berlino nella sezione Panorama, ci pone di fronte a quel bivio nel quale ineluttabilmente siamo costretti a sostare, prima di fare delle scelte, che siano consapevoli o dettate dal Caso. A fare da sfondo il ricordo e l’espediente dei fatti di Genova durante il G8 del 2001, che con la loro violenza da entrambi gli schieramenti, che fossero manifestanti non pacifici o poliziotti troppo “ligi” al dovere, ha inevitabilmente portato ad una rivalutazione delle proprie prese di coscienza.

Il regista gioca abilmente sul crocevia nel quale il protagonista Matteo è “accidentalmente” coinvolto, in un intersecarsi di piani paralleli che coinvolgono l’alter ego positivo o negativo (dipende dai punti di vista) di ognuno, costituendo un precedente, o quasi, per il nostro cinema. Una sera di pioggia la sua auto tampona quella di due poliziotti in borghese, e il ragazzo finisce in questura. Da quella sera la sua vita non è più la stessa, perché la rabbia per l’esistenza che ha scelto continua a scavarlo dentro. Ma se invece quella stessa sera la sua auto avesse frenato in tempo?

Il gioco sui piani (o binari per fare una citazione hitchcockiana) paralleli, è decisamente avvezzo al cinema, e ciò diventa il pretesto per sondare l’infinita rete di possibilità nelle quali possiamo perderci. Non mancano le citazioni in questo film che si veste coraggiosamente di denuncia sociale: nella fattispecie affronta il tema dell’annichilimento delle generazioni odierne che, nell’attesa che qualcosa cambi, costruiscono un nido sulla montagna, al riparo dalle decisioni.

Come opera prima ha il merito di aver utilizzato un racconto su piani paralleli e sfalsati, che troppo poco spesso si vede nel nostro cinema. In ultima analisi una menzione speciale per la partecipazione del grande critico Tatti Sanguineti, che in una sequenza memorabile del film illustra di fronte a una platea di studenti la scena finale de “I 400 colpi” di François Truffaut. Spiegando l’ultimo fermo immagine su Antoine Doinel dice: “Chi sei tu per giudicare…”.

Serena Guidoni

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