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Disconnect – Recensione

Il ritratto di un presente fatto sempre più di comunicazioni digitali e non reali, di una tecnologia che può influenzare e modificare le nostre esistenze

Regia: Henry Alex Rubin – Cast: Alexander Skarsgård, Michael Nyqvist, Jason Bateman, Andrea Riseborough – Genere: Drammatico, colore, 115 minuti – Produzione: USA, 2012 – Data di uscita: 9 gennaio 2014.

disconnect-locViviamo nell’era di internet, uno strumento che può accorciare le distanze geografiche, grazie al quale possiamo informarci e interagire. Ma in un mondo in cui è possibile essere sempre connessi, condividere (ingenuamente) ogni aspetto della nostra vita, comunicare con sconosciuti, trovare qualsiasi cosa vogliamo con un click, la Rete è anche una possibile trappola.

A chi non è mai capitato di vedere persone sedute allo stesso tavolo intente a osservare lo smartphone piuttosto che intavolare una conversazione? La nascita della sceneggiatura di “Disconnect” si deve proprio ad una di queste scene, che ha colto l’occhio dello scrittore Andrew Stern.

Sceneggiatura che ha colpito i produttori proprio per l’aderenza alla realtà odierna. Il film racconta del bisogno di comunicare che tutti abbiamo, e del nostro modo di farlo tramite computer o smartphone, piuttosto che in maniera diretta con le persone che abbiamo intorno.

La pellicola, presentata fuori concorso alla 69° Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia, prevede un cast interessante: Alexander Skarsgard (l’Eric di “True Blood”), Frank Grillo (“The Gates”) e Jason Bateman (“Juno”, “Hancock”).

Siamo catapultati nella vita di diversi personaggi, collegati in qualche modo tra loro: un avvocato che vive incollato al cellulare, una coppia in crisi che usa internet come valvola di sfogo, un ragazzino che pratica cyber-bullismo contro un coetaneo più sensibile, una giornalista che vuole usare la storia di un ragazzo che si esibisce in una chat hard.

Il regista dell’opera è Henry Alex Rubin, documentarista candidato all’Oscar per “Murderball”, che per la prima volta si cimenta in un lungometraggio di finzione. Scelta non casuale, vista la tematica attuale del film, che infatti ha molte caratteristiche tipiche del documentario: Rubin concede agli attori moltissimo spazio, letteralmente e figurativamente.

La cinepresa è distante e molto spesso viene usata una ripresa zoomata, da documentario, il che ha regalato alle scene naturalezza, come se lo spettatore stesse spiando sprazzi di vita vera. Massimo realismo anche per gli attori, poco truccati e che in qualche caso improvvisano i dialoghi.

Tra le storie che si intrecciano sullo schermo quella che risulta più approfondita risulta essere il dramma della famiglia Boyd: il figlio minore Ben, artista solitario, viene preso di mira da un cyber-bullo e i genitori troppo occupati per rendersene conto si risvegliano troppo tardi. La vicenda è descritta in maniera delicata ed è l’unica, a mio avviso, che descrive in maniera completa i personaggi principali, in particolare il padre interpretato da un sorprendente Jason Bateman, che siamo abituati a vedere in ruoli comici, ma che in questo film è particolarmente intenso.

Le altre storie rischiano di non essere abbastanza incisive, ma retoriche e forse troppo emotive. Gli avvenimenti si susseguono uno dopo l’altro, in un climax che culmina con un momento di violenza, che il regista ha voluto rappresentare attraverso un lungo rallenti. Scelta discutibile, in un film che fa del realismo la sua forza, ma che probabilmente voleva porre un accento drammatico sull’azione.

Quello che colpisce in “Disconnect”,è il fatto che la pellicola sembri proprio che stia parlando di noi, della nostra vita. Le situazioni in cui si trovano i personaggi, sono quelle che potrebbero capitare a tutti.

Il film pone diverse riflessioni nella mente dello spettatore, il quale, appena uscito dalla sala non può fare a meno di pensare ad abbandonare o ridimensionare la sua presenza nel mondo virtuale.

Suggerimento arrivato, dunque: Disconnect, disconnettiti.

Gioia Abbattista

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