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Disastro a Hollywood – Recensione

Commedia amara, ma non perfettamente riuscita, sui tic e gli isterismi di Hollywood

(What Just Happened) Regia: Barry Levinson – Cast: Robert De Niro, Sean Penn, John Turturro, Bruce Willis, Robin Wright Penn, Michael Wincott – Genere: Commedia, colore, 107 minuti – Produzione: Usa, 2008 – Distribuzione: Medusa – Data di uscita: 17 aprile 2009.

disastro-a-hollywoodLeggendo a freddo il cast all star, lo sceneggiatore e il regista si potrebbe pensare ad una mega produzione hollywoodiana destinata inesorabilmente a sbancare il botteghino. Poi si dà un’occhiata alla locandina con De Niro in pantaloni arrotolati e infradito ed il collegamento con le sue recenti commediole in cui paròdia se stesso (“Ti presento i miei”, “Terapia e pallottole” con relativi seguiti) è quasi automatico.

In realtà “Disastro a Hollywood” di Barry Levinson (tratto da “What Just Happened”, best seller dello sceneggiatore Art Linson) è un tentativo, riuscito solo in parte, di raccontare, da dentro, l’isterico mondo di Hollywood, attraverso due settimane nella vita del produttore Ben (Robert De Niro). Tra le diatribe con il regista alternativo che vuole scioccare il pubblico (Michael Wincott), la star capricciosa in soprappeso, che rifiuta di radersi (Bruce Willis), un agente cinematografico pieno di tic e fobie (John Turturro), lo sceneggiatore (Stanley Tucci) che ha occupato il suo talamo dopo il divorzio dalla seconda moglie (Robin Wright Penn), seguiamo il povero Ben andare su e giù per Los Angeles cercando di tenere insieme i cocci della sua vita professionale e privata, con un finale che sembra lasciare spiragli positivi più per la seconda che per la prima.

Nel 1997 Levinson aveva già diretto “Sesso e potere”, che raccontava con feroce ironia fanta-realistica il dietro le quinte e le commistioni tra politica e mondo del cinema, arrivando a prevedere il successivo Sex Gate Clinton-Lewinsky.

“Disastro a Hollywood”, invece, pur girato con molto mestiere e a tratti con stile mockumentary, ha le unghie spuntate e sembra cercare piuttosto la facile risata basata sui comportamenti isterici e i luoghi comuni che ci aspetta da quell’ambiente, costruendo una galleria di macchiette popolate da camei prestigiosi, in cui De Niro si muove con l’aria rassegnata, lesinando, e questa è una notizia positiva, le sue smorfie sopra le righe che ultimamente sembravano essere diventate un marchio di fabbrica irrinunciabile. Se però si è alla ricerca di un vero occhio spietato sulla Fabbrica dei sogni californiana è più utile spendere due ore per rivedersi “I protagonisti” di Robert Altman.

Vassili Casula

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