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Dheepan – Una nuova vita – Recensione

  • Regia: Jacques Audiard
  • Cast: Vincent Rottiers, Marc Zinga, Jesuthasan Antonythasan, Kalieaswari Srinivasan, Franck Falise, Claudine Vinasithamby
  • Genere: Thriller
  • Durata: 109 minuti
  • Produzione: Francia, 2015
  • Distribuzione: Bim
  • Data di uscita: 22 ottobre 2015

“Dheepan – Una nuova vita”: uno sguardo spietato

dheepanA una prima lettura “Dheepan – Una nuova vita” ha le sembianze di un film sull’integrazione interculturale, sull’accettazione del diverso – nella fattispecie un terzetto di immigrati che lo stato bellico spinge allo spostamento dallo Sri Lanka ai sobborghi parigini. Si direbbe poi un’analisi metaforica di una dinamica familiare moderna, qui resa ancor più complessa dallo stato fittizio, puramente burocratico, che ne determina la costituzione originaria. Si aggiunga a ciò una declinazione cronachistica del motto filosofico di Hobbes “homo homini lupus”, nella necessità di proteggere la residenza – sia essa la terra d’origine o un asfittico monolocale periferico in ambiente straniero – dagli attacchi armati che vengono dall’esterno, dal mondo brutale che costantemente tenta l’impunita sopraffazione.

Il film di Audiard è in realtà tutto questo, e anche di più: ma la moltiplicazione e la stratificazione delle chiavi interpretative non rende il racconto poco lucido o confusionario, incide anzi sulla complessa struttura narrativa valorizzandone l’efficacia in termini visivi.

Lo sguardo del regista francese è spietato, ovunque: nelle ambientazioni ristrette che mettono i corpi a stretto contatto, determinando uno stato reciproco alternato tra rifiuto e desiderio, con esiti mai scontati o definitivamente pacificatori; negli spazi aperti segnati da un conflitto sempre incombente e infine esplicitato in tutte le sue conseguenze più terribili; negli interludi lirici che isolano immagini emblematiche, principalmente corpi umani, accompagnati da una musica quasi liturgica, scansione solenne del precipitare inesorabile degli eventi.

“Dheepan – Una nuova vita”: stato di guerra in gradi diversi

Dheepan è il nome di una “Tigre”, un combattente per la libertà costretto a fuggire dallo Sri Lanka a causa della piega negativa assunta dalla guerra civile, sotto i cui colpi vede cadere insanguinati e mutilati tutti i familiari e molti compagni. Le pratiche per ottenere un visto per l’espatrio sono un ostacolo di difficile risoluzione; l’escamotage vincente è la formazione improvvisata di una finta famiglia, in compagnia di una giovane donna e di una ragazzina orfana trovata in un accampamento. Destinazione Parigi, in attesa che le cose si mettano a posto.

Se la ragazzina rimane di fatto un corpo estraneo, con i suoi problemi scolastici e le sue difficoltà d’integrazione – relative anche alle ristrette dinamiche familiari – appena accennati e presto messi in disparte, la coppia di rifugiati assume su di sé il perno della narrazione, rappresentandone in una sorta di microcosmo tutta la complessità: la diffidenza iniziale, la lenta ma progressiva apertura reciproca, il lungo percorso di comprensione e avvicinamento pur nel mantenimento geloso delle proprie identità, infine lo scarto violento che rischia di far esplodere ogni cosa: ma ad esplodere è invece il mondo circostante.

Nel rifiuto dell’ostilità ambientale, intransigente e crudele, c’è in fondo un principio di accettazione e di riconoscimento: perché la realtà che i protagonisti si trovano a fronteggiare nelle banlieu parigine – quelle de “L’odio” di Kassowitz, ma piuttosto affini anche allo scenario napoletano di “Gomorra” – è nella sostanza identica a quella dello stato di guerra da cui fuggono, con un grado elevato di violenza sempre minacciata e spesso esplicata nelle sue manifestazioni più terribili e deteriori.

Marco Donati

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