Come condizionamenti psicologici e forza del pregiudizio hanno portato a commettere uno dei più grandi casi di errore giudiziario nella storia degli Stati Uniti
Regia: Atom Egoyan – Cast: Colin Firth, Reese Witherspoon, James Hamrick, Seth Meriwether, Dane DeHaan, Kristopher Higgins, Mireille Enos, Bruce Greenwood, Alessandro Nivola – Genere: Drammatico, colore, 114 minuti – Produzione: USA 2013 – Distribuzione: Notorius Pictures – Data d’uscita: 8 maggio 2014.
Bisogna ammettere che il compito di Atom Egoyan non fosse così semplice: il caso giudiziario dei “Tre di West Memphis” era già stato oggetto di numerosi adattamenti cinematografici, tra i quali restano celebri i documentari “Paradise Lost: The Child Murders at Robin Hood Hills” (1996), “Paradise Lost 2: Revelations” (2000) e soprattutto “West of Memphis” che nel Gennaio 2012 venne presentato al Sundance Film Festival, diretto da Amy Berg. Alla difficoltà di riproporre la stessa materia da un punto di vista diverso il regista ha risposto centrando la vicenda sulle conseguenze psicologiche causate da un evento di questa portata su una piccola comunità, mostrando come l’autosuggestione possa produrre pericolose “cacce alle streghe”.
La storia prende le mosse da un noto fatto di cronaca nera: tre bambini vengono rapiti e brutalmente uccisi nei boschi del Tennessee. La comunità è talmente decisa a trovare un colpevole da essere disposta a chiudere un occhio sulla verità, lasciandosi condizionare da dicerie e superstizioni locali. Come se non bastasse, anche le autorità di giustizia sembrano non mantenere un’oggettività di fronte ai fatti accaduti, e qui, per il regista, ha inizio il vero dramma. Verranno accusati tre ragazzi socialmente emarginati la cui unica colpa risiederà nella loro stessa adolescenziale alienazione: diversi da tutti i loro coetanei, amanti dell’esoterismo, in una piccola cittadina americana dove discostarsi da percorsi prestabiliti sembra essere quanto di più pericoloso e nocivo.
Egoyan porta lo spettatore nell’aula del tribunale e racconta l’iter processuale dall’inizio alla fine, narrando i fatti nei più minuziosi dettagli e tentando di far risaltare la raccapricciante natura persecutoria dell’investigazione, la carenza di prove a carico degli imputati e la stessa fattibilità dei sospetti all’interno del caso. Indubbiamente le intenzioni alla base di questa strategia narrativa sono tra le più nobili, in quanto tendono ad evidenziare il desiderio di rendere tardiva giustizia ai tre adolescenti innocenti, ma il risultato è quello di non riuscire a tenere accesa l’attenzione dello spettatore.
Il costante ribattere sulla mancanza di oggettività da parte della struttura legale e magistrale dell’accusa va a scapito della fluidità del narrato. Inoltre c’è il sospetto che “Devil’s Knot – Fino a prova contraria” sia un film riservato agli “addetti ai lavori” o quanto meno agli amanti dei “legal movie” precedentemente edotti sui fatti avvenuti: sono molte le nozioni che Egoyan dà come già acquisite o scontate.
Il cast vanta due premi Oscar, Colin Firth e Reese Witherspoon, che, in questa interpretazione, restano intrappolati nella bidimensionalità dei propri personaggi: si ha l’impressione che la sceneggiatura non conceda loro la libertà di esprimere a pieno le proprie doti recitative. E’ comunque di interesse il tentativo compiuto da Witherspoon per riavviare la propria carriera vestendo i panni di una madre disperata.
Sorge spontaneo un dubbio: le alte motivazioni del regista, che condanna lo sfruttamento della potenza emotiva suscitata dall’omicidio di tre bambini, capace addirittura di portare all’ingiusta incarcerazione di tre giovani adulti, non si scontrano con la scelta di utilizzare come voce narrante quella di un bambino, che depose una testimonianza a sfavore del trio di adolescenti, con il chiaro intento di sfruttare quella stessa potenza emotiva per accattivare il pubblico?
Ai posteri l’ardua sentenza.
Micol Koch