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Cose Nostre – Malavita – Recensione

Cose Nostre – Malavita: un action comedy che sfiora tematiche sociali pur rimanendo nei confini dell’humor tipico del cinema Stars and Stripes alla francese targato Luc Besson

(The Family) Regia: Luc Besson – Cast: Robert De Niro, Michelle Pfeiffer, Tommy Lee Jones, Paul Borghese, Dianna Agron – Genere: Thriller, colore, 111 minuti – Produzione: USA, 2013 – Distribuzione: Eagle Pictures – Data di uscita: 17 ottobre 2013.

cose-nostre-malavita-locLuc Besson torna al cinema con l’action comedy a tinte dark, “Cose Nostre – Malavita”, tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore francese di origini italiane, Tonino Benacquista.

La pellicola racconta in chiave comica la vita di un ex boss della mafia italoamericana, Giovanni Manzoni – interpretato da un Robert De Niro sempre al top nonostante gli anni – , che, dopo aver testimoniato contro la ‘famiglia’ di cui faceva parte, è costretto a cambiare continuamente città sotto la protezione dell’Fbi, fino a giungere in un piccolo paesino della Normandia. Con lui c’è anche la famigliola ‘felice’ costituita da una moglie piromane (Michelle Pfeiffer) e due figli adolescenti che di fronte alle avversità della vita sanno il fatto loro.

Come in molti film di Besson, anche in questo caso ironia, commedia e azione si fondono in un prodotto che, pur non essendo perfetto, riesce comunque a essere piacevole e, al tempo stesso, a far riflettere.

Geniale è la scelta del cast. Quando si pensa ai gangster americani, infatti, è difficile non associare a quest’immagine il volto del grande Robert De Niro, che in più di un’occasione ha interpretato personaggi malavitosi. Un film a caso?: “Quei bravi ragazzi” del regista Martin Scorsese – nonché produttore della commedia in questione.

In realtà, la scelta di questa pellicola non è stata poi così casuale: Besson, infatti, omaggia il film e il regista italoamericano in una delle scene più spassose della commedia, dove De Niro si trova a dover assistere alla proiezione del film di Scorsese di cui, come sappiamo, è stato realmente uno dei maggiori protagonisti nei passati anni ’90. Ma non basta: la cosa più buffa, al di là di questo, è la reazione del suo personaggio di malavitoso in pensione (forzata) alla proiezione di un film che sembra essere a tutti gli effetti la copia sul grande schermo della sua vita da boss.

Di scene così divertenti il film ne è pieno; soprattutto quelle in cui è chiaro il tentativo del regista di mettere a confronto due culture profondamente diverse tra loro, stereotipandole ed esasperandone le caratteristiche più comuni: da un lato la cultura americana, rappresentata da Giovanni e dalla sua famiglia, e dall’altro la cultura francese, ma non quella della grande metropoli parigina, bensì quella tradizionalista di un piccolo paesino sperduto. Il risultato che ne vien fuori è uno scontro aperto tra francesi retrogradi – convinti che i nuovi venuti, come da cliché, siano degli innocui ricchi sempliciotti, e per questo facilmente abbindolabili – ed eccentrici americani – Giovanni e la sua famiglia, che pur di non attirare l’attenzione si sforzano di assomigliare ai cliché di cui sono vittime, sorridendo, lasciando mance generose e organizzando barbecue in giardino, ma che in realtà sono tutto l’opposto di ciò che la gente immagina.

Se De Niro, con il suo personaggio già di per sé poco serio e le sue espressioni facciali esilaranti, rappresenta la colonna portante dell’humor nel film – anche in quelle scene in cui trapela la malinconia di un uomo costretto a scappare da una continua minaccia e impossibilitato a vivere appieno la propria vita -, alla Pfeiffer e ai due figli spetta invece il compito di trasmettere la parte più dark della pellicola.

I loro personaggi sono sì divertenti, ma, al tempo stesso, rispecchiano la paura, l’ansia e la disperazione che un individuo proverebbe trovandosi nella loro stessa situazione. Ecco, allora, che la donna di casa cerca conforto e perdono nella Casa del Signore; il ragazzo vive nella convinzione che seguire le orme del padre sia il suo unico destino possibile, e la figlia maggiore, oppressa da una vita totalmente anormale, si rifugia in un amore non corrisposto per cui, per poco, non commette una tragica azione.

Uno stato d’ansia che cresce, così, lentamente per culminare in un finale carico di azione mista al dramma e all’amarezza; un finale capace di suscitare compassione nei confronti di questi strampalati protagonisti, la cui condotta rimane, fino all’ultimo, molto discutibile.

Francesca L. Sanna

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