Eco Del Cinema

Cinema Universale d’Essai – Recensione

La cinematografia del passato rivissuta tramite le vicende del cinema Universale d’Essai di Firenze, un luogo simbolico d’incontro e di crescita culturale per molte generazioni

Regia: Federico Micali – Genere: Documentario, colore, 73 minuti – Produzione: Italia, 2008 – Distribuzione: Fandango – Data di uscita: 6 Marzo 2009.

Per chi, cacinema-universale-dessaiusa giovane età, conosce il cinema solo attraverso le moderne, ipertecnologiche, asettiche e griffate multisala che da qualche lustro costituiscono quasi l’unica possibilità per vedere i film sul grande schermo. Ma anche per chi, più in là con gli anni, ha conosciuto i cinemini di periferia, spesso poco accoglienti e scomodi, dove non di rado la pellicola saltava e l’audio gracchiava, ma che comunque rappresentavano luoghi di confronto, di incontro, in cui la socialità rimaneva un aspetto inscindibile rispetto al film stesso. Per entrambe le categorie il documentario di Federico Micali “Cinema Universale d’Essai” rappresenta un imperdibile opportunità di conoscere o rivivere l’esperienza di un posto dove cinema voleva dire sberleffo, sfogo, politica, fumo, risate, compagnia.

Sito nel popolare quartiere del Pignone, a pochi passi dalle mura di San Frediano il Cinema Universale per oltre vent’anni ha rappresentato un punto di riferimento per tutti i fiorentini, un luogo che accoglieva studenti e operai, intellettuali (o pseudo tali) e trucidi, cinefili o semplici nullafacenti che non sapevano come passare le serate.

La pellicola di Micali ripercorre la sua storia, attraverso i vividi ricordi e i coloriti aneddoti di chi all’Universale ci lavorava o ci passava giornate intere, tra battute rivolte ai personaggi sullo schermo, insulti e scherzi tremendi alla povera cassiera, alla maschera e al burbero buttafuori (leggendarie le sgommate in vespa tra i sedili della sala compiute da un ignoto, subito entrato nella mitologia cittadina, o il lancio di piccioni vivi durante la proiezione di “Birdy – Le ali della libertà”), sigarette artigianali dallo strano odore acre, lanci di lattine e altre sostanze organiche e salaci commenti più o meno attinenti le vicende raccontate sullo schermo.

Dagli anni ’60, dove in assenza di sua Maestà la televisione, l‘Universale come tutti i cinema aveva l’esclusiva quasi assoluta tra gli svaghi degli italiani nel pieno del boom economico tra commedie e western, al controverso decennio successivo dove l’impegno politico, la contestazione e la droga si diffondevano a macchia d’olio tra i giovani, cambiando anche i gusti cinematografici degli avventori della sala (che non a caso si era trasformato, pomposamente, in d’Essai), fino agli anni ’80 dove l’interesse per la musica, il calcio e i film erotici annunciavano un progressivo disimpegno e disincanto rispetto agli ideali precedenti.

Nel 1989 la chiusura, schiacciato dalla diffusione dell’Home Cinema e dal mancato ricambio generazionale dell’audience e la trasformazione in discoteca alla moda. Il film pur privo di filmati di repertorio monta abilmente e con gran ritmo interviste ai “reduci” dell’Universale, con foto dell’epoca, ricostruzioni in stop-motion e spezzoni dei film più gettonati (“Fragole e Sangue”, “If” “Fuga di Mezzanotte”, “Woodstock”, “I Guerrieri della Notte”, “Berlinguer ti voglio bene” tanto per citarne alcuni) accompagnato da una soundtrack che rende omaggio alla gloriosa scena underground fiorentina.

Emerge l’immagine affettuosa e positivamente nostalgica di un cinema che non c’è più. Un cinema interattivo, in tutti i sensi: dalla scelta della programmazione suggerita dagli avventori mediante apposite schede, ai sopracitati interventi del pubblico che si sovrapponevano alle voci degli attori. Uno di questi non può non essere citato: Highlander, l’ultimo immortale, incontra su un ponte il suo amico di colore. E’ una scena emozionalmente forte: i due si abbracciano; Cristopher Lambert chiede con molto pathos: “Dove sei stato tutto questo tempo?”. La risposta arriva, gridata, dal buio della sala: “A Follonica! E senza ombrellone!”.

Vassili Casula

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