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Cesare deve morire – Recensione

Orso d’Oro 2012 il film di Paolo e Vittorio Taviani porta davanti agli occhi dello spettatore la potenza della poetica sulle miserie umane

Regia: Paolo Taviani, Vittorio Taviani – Genere: Drammatico, colore, 96 minuti – Produzione: Italia, 2012 – Distribuzione: Sacher – Data di uscita: 2 marzo 2012.

Paolo e VittorioCesaredevemorireloc Taviani scelgono il bianco e nero per questo film dove la fotografia è uno degli elementi caratterizzanti. Questa scelta cromatica dona al racconto un particolare realismo che gli fa prendere le distanze dalla finzione cinematografica, senza però nessuna deriva documentaristica.

Quello dei Taviani è un film vero e proprio, non una sorta di indagine entro le mura del carcere romano di Rebibbia dove “Cesare deve morire” è stato girato. Qui non si analizza la vita dei carcerati del reparto di massima sicurezza, non c’è curiosità per le loro colpe, per il loro passato, protagonista è la poesia.

Il fulcro narrativo, l’allestimento del “Giulio Cesare” di Shakespeare da parte dei detenuti che lavorano ai progetti del laboratorio teatrale, è solamente il mezzo per mostrare la potenza dell’arte sulla formazione dell’individuo.

I famosi fratelli, per la prima volta all’opera con telecamera digitale, non a caso hanno scelto questo testo, ritenendo infatti che sentimenti drammatici come la sete di potere, la vendetta e il tradimento, fossero capaci meglio d’altri di penetrare gli attori, stimolandone mente e anima.

Il film è artisticamente ineccepibile, la macchina da presa si muove con maestria, quasi in modo invisibile, sulle prove della rappresentazione, sugli attori, alcuni di grande talento, in ogni dove del carcere romano.

I registi non mostrano sullo schermo in nessun modo giudizi, ne sulle colpe, ne sulle pene, si pongono su un altro piano, puramente artistico, con un’infinita fiducia nel potere di redenzione proprio della poesia.

La pellicola si chiude con una frase, non frutto della sceneggiatura ma pensiero di uno dei detenuti: “da quando ho conosciuto l’arte questa cella è diventata una prigione”.

Maria Grazia Bosu

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