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C’era una volta a New York – Recensione

James Grey dirige un dramma toccante ambientato nell’America del proibizionismo e degli immigrati europei

(The Immigrant) Regia: James Gray – Cast: Jeremy Renner, Marion Cotillard, Joaquin Phoenix, Dylan Hartigan – Genere: Drammatico, colore, 120 minuti – Produzione: USA, 2013 – Data di uscita: 16 gennaio 2014.

unavoltaanewyorkA cinque anni dalla sua ultima pellicola, “Two Lovers”(2008), James Grey torna al cinema con un dramma toccante incentrato su una giovane donna, Ewa, immigrata dalla Polonia insieme alla sorella Magda negli Stati Uniti. È il 1921, i loro genitori sono stati brutalmente uccisi e le due donne si imbarcano alla rotta di New York con la speranza di trovare un futuro migliore oltreoceano. Una volta giunte a Ellis Island, però, Magda viene messa in quarantena mentre Ewa viene liberata per le pericolose strade di Manhattan. La giovane straniera troverà la salvezza e insieme la dannazione in Bruno, affascinante immigrato, protettore di una serie di ragazze che per guadagnare si spogliano in spettacoli di varietà e si prostituiscono.

James Gray scrive una storia che dà voce alle esperienze dimenticate di tantissimi immigrati europei che trovarono il coraggio di lasciare a casa tutto e costruirsi una vita nuova, in molti casi, per nulla facile, in un Paese lontano non soltanto fisicamente, ma, anche e soprattutto, culturalmente.

A vestire i panni della protagonista Ewa c’è una Marion Cotillard in stato di grazia che parla poco, ma dice tanto. D’altronde Grey, intimo amico del compagno dell’attrice, Guillaume Canet, ha scritto il personaggio proprio pensando al volto incredibilmente espressivo della francese premio Oscar 2007. Così come il ruolo di Bruno è nato per Joaquin Phoenix, interprete di cui il regista aveva già attestato l’innato ed eclettico talento in tre collaborazioni precedenti: “The Yards” (2000), “I padroni della notte” (2007) e “Two Lovers”(2008).

Una coppia che fa da pilastro a una storia profondamente autentica in cui è difficile individuare personaggi negativi o positivi. “C’era una volta a New York” è il racconto delle scelte disperate di esseri umani che si trovano sull’orlo del precipizio e si aggrappano a qualsiasi cosa pur di sopravvivere. Scelte che lasciano cicatrici indelebili su pelli che fino a poco prima erano pure e immacolate, ma di cui non si può fare a meno. Ewa è l’essenza massima del senso del film in quanto arriva al punto di desiderare talmente tanto la libertà e la felicità della sorella da non curarsi delle proprie. Passa il limite, sa che non potrà tornare indietro e vivere pienamente perché i suoi fantasmi continueranno a perseguitarla, ma, al pari di un’eroina classica, antepone il suo fine al resto e combatte con tutta se stessa per raggiungerlo. Marion Cotillard mette l’anima in questo ruolo, scompare totalmente dietro il volto stanco, ansioso, preoccupato, scavato di Ewa, impara una lingua tanto lontana sia dall’inglese sia dal francese come il polacco e lo padroneggia completamente durante la recitazione.

È sicuramente quello di Phoenix, però, il personaggio più ambiguo. Bruno è un malvagio calcolatore che nasconde il suo egoismo dietro una maschera di affabilità e cortesia che però non riusciamo veramente a detestare proprio per la sua totale umanità. Bruno ha commesso delle crudeltà eppure scopriamo che è capace di amare e non possiamo che adottare la linea di pensiero di Grey secondo cui c’è del buono in ogni uomo. In fondo, anche Ewa capisce di avere bisogno di lui e, come fosse una droga, non riesce a staccarglisi nonostante sappia quanto tossico sia per lei.

Una buona performance la regala anche Jeremy Renner nei panni del mago Orlando che segnerà un barlume di luce e speranza della vita di Ewa.

La sceneggiatura ha delle lacune, ma in generale la buona scrittura dei personaggi e l’ottima interpretazione del cast sono abbastanza perchè il film funzioni a dovere. La carica drammatica cui Grey aspirava c’è e, seppur ricercata (ad esempio nella colonna sonora, che utilizza le musiche di Puccini, Gounod e Wagner, o nell’ottima fotografia che gioca molto di luci e ombre) non è mai forzata nè eccessiva.

“C’era una volta a New York” è imperfetto come lo sono le persone autentiche e finisce per piacere proprio per questo.

Corinna Spirito

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