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Brian Hill presenta “The Confessions of Thomas Quick”

All’ora di pranzo di martedì 20 ottobre, si è tenuta in sala Petrassi – Auditorium Parco della Musica – la conferenza stampa per la presentazione di “The Confessions of Thomas Quick”, documentario inserito nella Selezione Ufficiale della Festa del Cinema di Roma. Presenti il regista, l’inglese Brian Hill, e la rappresentante della produzione Jane Nicholson.

Il grottesco caso criminale di Thomas Quick rivive sullo schermo grazie a Brian Hill

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La texture narrativa, fortemente basata sull’alimentazione di suspense, è stata suggerita dalla volontà di ricreare le condizioni di ricezione con cui la vicenda è stata effettivamente percepita nella sua evoluzione; questa volontà di ricostruzione quasi filologica, ha dichiarato il regista, ha connotato lo spirito del film, non quindi un semplice documentario ma una vera messinscena cinematografica, molto influenzata anche dalla tipologia di noir svedese che in Inghilterra è molto amata.

Per quanto riguarda l’incontro con Sture Bergwall/Thomas Quick, Hill ha rivelato di avergli parlato per la prima volta quand’era ancora rinchiuso nell’istituto psichiatrico di Saeter, in un’atmosfera inquietante dettata anche dalla difficoltà di aver a che fare con un uomo che per più di venti anni è stato considerato alla stregua di un mostro efferato, con una lunga serie di omicidi confessati; in realtà Bergwall si è mostrato molto aperto al dialogo, aveva anzi voglia di raccontare la verità: non è stato difficile convincerlo a partecipare a questo film, anche se non ha partecipato sotto alcun aspetto alla sua lavorazione tecnica.

La vicenda di Thomas Quick ha del grottesco: ma quanto ne ha capito davvero il diretto interessato, sottoposto a un continuo trattamento di potenti farmaci? Secondo Hill, ora Bergwall è in uno stato di lucidità che gli permette di comprendere quasi del tutto ciò che è accaduto; negli anni precedenti, invece, il trattamento psichiatrico e sanitario gli aveva senz’altro annebbiato le idee, e del resto è stato proprio lui, con la sua dipendenza dalle droghe che l’istituto poteva garantirgli, ad assecondare l’andamento della terapia.

L’applicazione estrema della teoria della rimozione

Hill si è dichiarato convinto che gli psichiatri e i poliziotti direttamente coinvolti nella costruzione di questa enorme montatura criminale abbiano agito in totale buona fede: nell’istituto di Saeter la fiducia nella teoria della rimozione dei ricordi come prova di atti criminali – teoria che risulta a oggi del tutto assurda e priva di evidenza – era pressoché totale, e la polizia svedese ha deciso arbitrariamente di affidarsi in toto ai responsi delle diagnosi psichiatriche.

Ancora oggi, ha dichiarato la produttrice Jane Nicholson, c’è chi crede nella colpevolezza di Sture Bergwall: la vicenda ha scosso profondamente la Svezia e ha lasciato un certo tipo di strascichi; tuttavia, ha aggiunto il regista, quella svedese è una terra sotto molti aspetti paradossale, tanto avanzata dal punto di vista civile quanto chiusa in una sorte di nube di ignavia e disinteresse, che è poi proprio ciò che ha permesso la costruzione di un caso tanto assurdo in una prospettiva legale – nessun corpo ritrovato e nessuna prova forense, solo la reazione all’induzione forzata dei ricordi rimossi.

Brian Hill si è potuto avvalere di immagini d’archivo, accuratamente predisposte per la realizzazione del film

La famiglia ha preso le distanze da Bergwall, salvo poi riconciliarsi quando è finalmente emersa la questione nella sua realtà. Per tutto il tempo, tuttavia, i familiari hanno decisamente negato la verità dei ricordi espressi da Bergwall sotto shock: le immagini raccapriccianti del cannibalismo praticato sul corpo del neonato fratellino e degli abusi sessuali del padre sono state inventate dalla sua macabra fantasia; sono state sufficienti, tuttavia, per convincere gli psichiatri di aver individuato la fonte inconscia della sua tendenza omicida. Per quanto riguarda i rapporti con la famiglia, ha aggiunto Hill, bisogna tenere in considerazione la natura estremamente depressa e solitaria di Bergwall, oltre alla sua omosessualità nel contesto della Svezia rurale degli anni cinquanta in cui è cresciuto: era un individuo assolutamente difficile da trattare e con cui era impossibile stabilire alcun tipo di relazione.

Per quanto riguarda le immagini di archivio che affollano il film, il regista ha tenuto a rimarcare il fatto di aver potuto disporre di un piccolo tesoro già predisposto per la resa cinematografica: l’archivio video della polizia, in Svezia, è aperto all’accesso e all’utilizzo pubblico. La ricostruzione di alcuni episodi tramite l’interpetazione di un attore, peraltro dalla somiglianza fisica straordinaria, è risultata funzionale a una visione più dinamica e propriamente cinematografica, come nel caso della brutale rapina alla famiglia di cui Quick è stato effettivamente autore.

Marco Donati

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