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Amour – Recensione

Miglior Film Straniero agli Oscar 2013, “Amour” è un intimo frammento di vita quando questa finisce nello specchiarsi nella morte

Regia: Michael Haneke – Cast: Isabelle Huppert, Jean-Louis Trintignant, Emmanuelle Riva, Rita Blanco, Laurent Capelluto – Genere: Drammatico, colore, 105 minuti – Produzione: Austria, Germania, 2012 – Data di uscita: 25 ottobre 2012.

amour“Realismo” è l’ingrediente principale di cui il maestro austriaco si è servito per concepire il suo “Amour”, film vincitore della 65esima edizione del Festival di Cannes. Michael Haneke ci accompagna per mano in un’esperienza di vita vera, una di quelle familiari tra più strazianti che esistano, e lo fa mostrandocela in una maniera semplice e senza nessuna sfumatura melodrammatica, non c’è infatti posto per musiche di sottofondo.

La scelta della storia pare nasca da una vicenda personale in cui il regista si rifiutò di aiutare a morire la zia gravemente malata, è stata la negazione di quell’atto a spingerlo a scrivere il contenuto della pellicola. Stavolta però non ha avuto nemmeno bisogno di chissà quale espediente narrativo per metter su il suo premiato teatro della crudeltà, il suo già classico e riconoscibilissimo cinema della minaccia. Non ne ha avvertito il bisogno perché la crudeltà, la minaccia, sta tutta nell’oggetto del suo discorso, nel tema che il film affronta: la morte.

La forza toccante di un uomo anziano nell’affrontare il decorso della malattia inesorabile della propria amata è il concentrato della trama: George ed Anne, i protagonisti, interpretati da Jean Louis Trintignant e Emmanuelle Riva, sono infatti una coppia felice di ex musicisti di pianoforte da più di cinquanta anni. La loro esistenza sembra scorrere serenamente, circondati dalla loro passione per la musica che li accomuna, fino al primo segnale d’allarme: un momento di catatonia della donna durante la colazione al termine del quale ritengono inutile scomodare il proprio medico di fiducia. È il primo sintomo di qualcosa di più grave: Anne successivamente subisce un ictus che le paralizza la parte destra del corpo. Da qui comincia un inferno provocato dalla degenerazione fisica della donna, costretta a diventare completamente dipendente dal marito.

Dubbi, paure, sogni, momenti di solitudine assalgono George nel crescendo di dolore provato nell’assistere la moglie fino all’epilogo del loro amore. Anne trasforma Georges nel suo naturale prolungamento, quasi come fosse una protesi e si abbandona alle sue cure accogliendole ma talvolta rifiutandole bruscamente. Georges addossa su se stesso tutte le responsabilità opponendosi fermamente al ricovero di Anne in ospedale, su volere dell’amata, arrivando al punto di impedire alla figlia (Isabelle Huppert) di vederla.

In “Amour”, titolo già esplicativo di per sé, si ha la certezza che l’amore sia il vero protagonista del film. Potente per la capacità di mettere in scena una realtà così dolorosa e familiare in cui rimane sempre costante in sottofondo il sentimento. È proprio questo a dare quella spinta che permette a Georges di porre termine al calvario di Anne. Vedendo “Amour” inoltre si ha l’impressione di penetrare indisturbati nel privato e nell’intimità della quotidianità di una coppia unita da un legame indissolubile. La ottantacinquenne Emmanuelle Riva si propone eroicamente e stoicamente alla macchina da presa, la sua è quasi una via crucis, la sua bravura rappresenta qualcosa che va oltre la performance attoriale, che è vita. Ma è Jean Louis Trintignant, di 82 anni, ritornato di recente in scena, a coinvolgerci, convincerci e anche commuoverci.

Rimangono impressi i gesti e le espressioni del suo volto provato dal peso delle responsabilità, il suo vagare stanco e sconfortato per casa, una casa un tempo elegante e accogliente che appare adesso così grande e vuota. È proprio quella casa ad essere ora l’involucro che li trattiene entrambi chiusi nella loro sofferenza. “Amour” è senza dubbio un capolavoro indiscusso, senza bisogno di conferme ufficiali, quali la Palma d’Oro a sottolinearlo.

Al di là della vicenda personale dei tuoi protagonisti, l’opera si pone come spunto di riflessione più grande su un tema molto discusso,la morte, su cui si scontrano pareri differenti. È forse il film, l’esempio di un piccolo passo verso un cambiamento culturale nei confronti dell’accettazione della buona morte?

Giulia Surace

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