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Alì ha gli occhi azzurri – Recensione

Un adolescente nato a Roma da genitori egiziani deve costruire la sua identità su due culture che sembrano impossibili da far convivere nella stessa persona: “Alì ha gli occhi azzurri” rappresenta così la contemporanea e multi-etnica capitale d’Italia

Regia: Claudio Giovannesi – Cast: Nader Sarhan – Genere: Drammatico, colore, 94 minuti – Produzione: Italia, 2012 – Distribuzione: BIM – Data di uscita: 15 Novembre 2012.

alihagliocchiazzurriNader è nato a Roma da genitori egiziani e, a sedici anni, deve per la prima volta confrontarsi seriamente con la sua identità. È innamorato di Brigitte, con cui ha una storia da circa un mese, ma quando dà la notizia ai genitori, questi gli proibiscono di vedere la ragazza perché, essendo italiana, la loro unione è proibita dalla religione islamica.

Inizia a questo punto la settimana mostrataci lungo tutto il film: Nader decide di non tornare più a casa finchè i genitori non ammetteranno il suo amore. Per sette giorni corre da un posto all’altro in cerca di soldi per mangiare, un posto in cui passare la notte ed il modo per risolvere i guai in cui si è cacciato insieme al migliore amico Stefano, compagno di rapine e risse.

Claudio Giovannesi racconta con estremo realismo la difficile costruzione di un’identità multietnica e multiculturale nella nostra capitale. Nader non è soltanto un giovane che deve capire come far convivere gli insegnamenti dei suoi genitori con i differenti valori del Paese in cui è nato e vive, ma rappresenta anche l’intera comunità di stranieri che vive in Italia.

Oltre ad interrogarsi sulle modalità d’integrazione degli immigrati, “Alì ha gli occhi azzurri” mostra l’essenza multietnica di Roma, che, a differenza di altre capitali europee e mondiali, non sembra aver ancora totalmente compreso ed accettato questa realtà. Nader frequenta indifferentemente egiziani, italiani e rumeni, senza che la cosa sia accentuata o venga fatta notare dai genitori dei ragazzi o dai loro conoscenti. “Alì ha gli occhi azzurri” pone l’attenzione non tanto sull’ingente numero di stranieri che vivono stabilmente nel nostro Paese da decenni e sui loro rapporti con gli italiani, perché dà la multietnicità di Roma come un dato di fatto; vuole invece parlare dell’integrazione personale che la nuova generazione di italiani è costretta ad affrontare. Giovannesi si rivolge a tutti quei bambini e quei ragazzi nati in Italia da genitori stranieri che metteranno le basi per una nuova identità culturale italiana, che aiuteranno a costruire la nuova Italia.

Nader è un personaggio contraddittorio che accetta alcune regole islamiche e ne respinge altre; che si batte per la libertà di vivere l’amore con chiunque lui ritenga giusto, ma che negherebbe lo stesso diritto a sua sorella minore. Così come la sua famiglia, che si dice tanto legata all’Egitto da ritenere di dover crescere i figli secondo le regole del loro Paese d’origine, benché siano nati e cresciuti all’estero: eppure quegli stessi genitori restano indifferenti davanti alle sofferenze dei loro connazionali durante la primavera araba, le cui immagini fanno da sfondo alle loro cene.

Giovannesi sceglie di portare sullo schermo una storia vera e di fare dei reali protagonisti delle vicende gli attori del suo film: ecco allora che Nader si ritrova ad interpretare se stesso in un film, accanto ai suoi veri genitori, la sua fidanzata Brigitte ed il migliore amico Stefano. Tutti bravi e naturali di fronte alla macchina da presa, il protagonista in particolare che mai si direbbe un esordiente: Nader è un ragazzo non solo terribilmente espressivo, ma anche maledettamente convincente nel film.

Claudio Giovannesi ha saputo dirigere tutti i ragazzi in maniera impeccabile, utilizzando la macchina da presa quasi per “inseguire” gli attori, che si spostano di continuo da una parte all’altra.

Quella che ne viene fuori è una pellicola non perfetta, ma sicuramente ben fatta e ricca di spunti su cui riflettere, anche perché il regista chiude il suo film senza suggerirci la soluzione al conflitto interiore di Nader. “Alì ha gli occhi azzurri” ci dice che un conflitto esiste e ce lo presenta in tutte le sue sfaccettature, ad ognuno poi il compito di tirare individualmente le proprie conclusioni.

Corinna Spirito

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