L’ironico e improbabile commiato dal cinema di Godard
(Adieu Au Langage) Regia di: Jean-Luc Godard – Cast: Kamel Abdeli, Dimitri Basil, Zoé Bruneau, Richard Chevallier, Jessica Erickson, Héloise Godet, Alexandre Païta – Genere: Drammatico, colore, 70 minuti – Produzione: Svizzera, 2014 – Distribuzione: Bim – Data di uscita: 20 novembre 2014.
Inutile, se non impossibile, cercare di riassumere l’ultima opera di Jean-Luc Godard, l’unico film ad aver ottenuto un applauso a metà proiezione al Festival di Cannes 2014 dove ha vinto il Premio della Giuria. Eppure l’idea è così semplice da sembrare banale: un cane si aggira per le strade di una città, rincorre gli odori della campagna mentre le stagioni si alternano. Si ferma ad osservare una coppia, i loro incontri, l’amore che si promettono e si danno. I due discutono e si scontrano fino alla scomparsa dalla visuale canina.
Questa è una delle tante fuorvianti sinossi che potrebbero rappresentare solo dei miseri tentativi per arginare un’opera che è un tumultuoso fiume in piena dal quale, ad un certo punto, viene trascinato via anche il cane. Un flusso apparentemente irrazionale di immagini, pensieri, idee, monologhi, dialoghi e domande che si susseguono ininterrottamente per settanta minuti.
Grazie ad un montaggio di scene girate con diversi tipi di videocamere economicamente accessibili a tutti, Godard assembla un patchwork democratico. Il mezzo cinematografico non è più una prerogativa del regista, chiunque può fare delle riprese con un cellullare o con una videocamera digitale. Il linguaggio al quale dice addio il maestro francese si è impoverito e allo stesso tempo si è arricchito di milioni, forse miliardi, di punti di vista. Ormai anche il pubblico, con poche risorse, può fare cinema, producendo un cortocircuito al quale probabilmente Godard si sottrae lasciandoci in pasto alle sue visioni.
L’immagine si fa doppia, si sovrappone, si sovrappongono i personaggi, le loro parole e quelle di altri. Si moltiplicano i film nel film mentre il cane, annusando e guaendo, assurge a protagonista incontrastato relegando l’umanità, impegnata in complicati ragionamenti, ai margini della narrazione. La sensazione di disorientamento è sempre più forte. I nostri occhi vedono un film montato come un super8, mentre le nostre orecchie percepiscono parole profonde, aggrappate alla genesi di un pensiero o viceversa, si assiste allo spettacolo di una geniale interpretazione del 3D mentre invasivi rumori di sottofondo cercano di richiamare la nostra attenzione.
“Adieu au lenguage” sembra prendersi gioco di noi e forse è proprio questo, a 83 anni, l’intento principale di Jean-Luc Godard.
Riccardo Muzi