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Ninja Assassin – Recensione

Nel suo genere, “Ninja Assassin” non spicca per doti qualitative particolari, ma anzi si appiattisce su banali cliché e dinamiche ripetitive

Regia: James McTeigue – Cast: Rain, Naomie Harris, Ben Miles, Rick Yune, Stephen Marcus, Sho Kosugi, Togo Igawa, Randall Duk Kim, Sung Kang, Thorston Manderlay – Genere: Azione, colore, 99 minuti – Produzione: USA, 2009 – Distribuzione: Warner Bros. Italia – Data di uscita: 4 dicembre 2009.

ninjaassassinParliamoci chiaro, di film del genere se ne potrebbe benissimo fare a meno. Anzi, ripensandoci, andrebbero bene per agevolare il sonno in terza serata su Rete Oro. Poi viene in mente che è una produzione internazionale costata fior di soldoni e allora inizia un pochino a pulsare la vena sulla fronte. Perché indubbiamente alcune sequenze sono suggestive, ma stiamo parlando di pochi minuti sui 99 di pellicola, le cui potenzialità si esprimono tutte in fase di pre-produzione.

Al momento del primo ciak tutte le buone intenzioni sono andate a farsi benedire, sequenze strabanalizzate tese ai massimi sistemi del c-movie, ovvero sbam sbam sbam. Non avete capito? Botte, stellette ninja e colpi di mitra misti ad arti marziali, in sintesi robe viste nelle tv asiatiche degli anni 60 e che il regista James McTeigue avrebbe voluto riportare in auge.

I risultati? Decisamente scarsi, non ditelo però a loro, non rimanete al buio che potrebbero scatenarsi: ocio ai “Ninja Assassin”(s). Analizzando il plot, ovvero la storia di Raizo, un orfano allevato dagli Ozunu, spietato clan che mette assassini ninja al soldo dei vari governi, in mente non viene altro che splatter e trash, strisce di fumetti e Tarantino. Il quale, accostato alla pellicola, fa storcere la bocca come davanti ad un quadro impressionista deturpato da un pennarello. Chiaramente McTeigue, reduce dalla convincente trasferta futurista in terra londinese (il magnifico “V per Vendetta”), incappa in una produzione forse troppo poco sofisticata per lui, adducendo come unica spiegazione le faticose evoluzioni aeree da dirigere.

Aver tentato di dar volto e movenze a sette esoteriche che tanto affascinano un annoiato Occidente, iperbole dopo iperbole, ha generato un film ibrido a cui il cast non aggiunge spessore. Solo un balletto di atletici assassini, personaggi freddi e senz’anima, una popstar koreana (Rain) dal fisico e volto scolpito, l’amica-reporter in trasferta a Berlino. What else? Non molto, un frullatone visivo troppo debole rispetto ai fasti di alcune graphic novel contemporanee o ai manga che si vendono nelle edicole, di certo più efficaci.

Non salva l’onore nemmeno il vaghissimo sapore filosofico, diluito tra combattimenti e ombre, rabbia e rancore. Di certo si poteva fare qualche sforzo maggiore, uno spreco di stuntmen e ore di lavoro. Questo è Ozunu, una palla di storia.

Simone Bracci

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