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Kill Me Please – Recensione

Pellicola politicamente scorretta sul suicidio assistito, vincitrice del Festival del Film di Roma 2010

Regia: Olias Barco – Cast: Saul Rubinek, Benoît Poelvoorde, Bouli Lanners, Aurélien Recoing, Virginie Efira – Genere: Commedia, b/n, 95 minuti – Produzione: Belgio, Francia, 2010 – Distribuzione – Archibald Enterprise Film – Data di uscita: 14 gennaio 2011.

killmepleaseSi può ridere e pensare allo stesso tempo durante un film sul suicidio e sull’eutanasia? Ebbene la risposta è sì. Ed è tutta nella pellicola che ha trionfato al Festival del Film di Roma 2010 di Olias Barco “Kill Me Please”. In una clinica quasi clandestina, in Belgio, un medico dà la dolce morte a un gruppo di malati più meno terminali. E prende persino le sovvenzioni dal Governo.

Il dottor Kruger non è un cinico, ma cerca di capire i meccanismi psicologici, che portano le persone all’autodistruzione. Ovviamente le cose non vanno tutte come dovrebbero e il risultato è un film grottesco, ma incredibilmente intelligente. I suoi pazienti sono più o meno tutti disturbati, più adatti a un manicomio che a una clinica per malati terminali.

E in fondo sono molto più vitali, nella loro follia, di tanta gente “normale” che gira per le strade. Dal soprano drammatico transessuale che ha perso la voce, al giocatore d’azzardo che si è perso la moglie al gioco. E in mezzo a loro, un imperturbabile agente della finanza che indaga su quello che accade lì dentro. Ma fuori, nel villaggio vicino, ci sono persone che non accettano che esista un posto dove si crede che il diritto a morire debba essere inserito nelle Costituzioni nazionali. Il libero arbitrio non vincerà, cosa piuttosto normale ai nostri giorni. Alla fine solo il soprano senza voce riuscirà a realizzare il suo ultimo desiderio di cantare la Marsigliese in un’alba livida, essendo l’unico sopravvissuto.

Il regista belga Olias Barco dirige una pellicola tutta in bianco e nero, sullo stile di Jacques Tati, con una fotografia volutamente sporca. I suoi personaggi sono tutti sopra le righe, dottor Kruger a parte, eppure perfetti. Si ride di un humour nero alla Monty Python, ma il tema controverso dell’eutanasia è lì sul piatto in tutta la sua gravità. Del resto, una clinica del genere esiste realmente in Svizzera, a Zurigo, con quasi mille suicidi assistiti eseguiti negli ultimi dodici anni.

Il risultato è un’opera felice e del tutto politicamente scorretta. La lavorazione, fatta tra mille difficoltà, è durata tre settimane. Del cast, a Roma, era presente soltanto una dei protagonisti, l’attrice francese Zazie de Paris, Rachel nel film. Alla domanda sulla posizione del regista sull’eutanasia ha risposto che sì, lui è pro, del resto ha tentato il suicidio tre volte.

È un film che si meriterebbe per noi la vittoria, come un anno fa il danese “Brotherhood” per il suo coraggio e la sua leggerezza al tempo stesso e possibilmente una buona distribuzione nelle sale.

Ivana Faranda

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