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Recensione “Guardiani della Galassia vol.3”: l’universo può aspettare

Ci addentriamo nel terzo e conclusivo capitolo che vede protagonisti Peter Quill, Gamora, Drax, Rocket, Mantis e Groot nel tentativo di salvare l’intera Galassia. Perché? Semplice: sono solo alcuni degli idioti che ci vivono dentro! Nell’ultima avventura firmata James Gunn l’universo da salvare però assume le sembianze di un amico, di una famiglia. Degno congedo del regista dal Marvel Cinematic Universe, si classifica come uno dei migliori prodotti dell’ultimo decennio, nonché adeguata chiusura al ciclo dei Guardiani.

Indice

“Guardiani della Galassia vol.3”: tutte le informazioni

Guardiani della Galassia vol 3 locandina

Trama

Nulla è più stato lo stesso dal fatidico schiocco di dita di Thanos: per cinque anni la metà della popolazione è stata spazzata via e imprigionata nell’oblio, solo per ricomparire in un mondo stravolto dai cambiamenti. A complicare ulteriormente le cose la consapevolezza che il flusso degli eventi non si svolga più in maniera semplice e lineare, ma che più stringhe possano confluire nella teoria del Multiverso.

Recensione “Guardiani della Galassia vol.3”: l’universo può aspettare

Quando una nuova e al contempo vecchia Gamora sbuca da una linea temporale diversa da quella dei Guardiani, spietata mercenaria nonché membro dei Ravagers, la sua stessa esistenza turba profondamente l’intero gruppo, e in particolar modo Peter. Stabiliti su Knowhere, i Guardiani cercano di riadattarsi alla quotidianità.

Ogni tentativo viene rapidamente vanificato quando un essere estremamente potente piomba nel quartier generale in piena notte con l’obiettivo di eliminare Rocket: non si tratta di altri che Adam Warlock, rampollo appartenente alla stirpe Sovereign generato appositamente per vendicarsi dei Guardiani in risposta all’affronto subito anni prima.

Nonostante l’insuccesso, l’arrivo di Adam getta l’intera Knowehere nello scompiglio, e per di più lascia un Rocket in fin di vita impossibile da salvare: Nebula, Mantis e Peter scoprono infatti che la sopravvivenza del loro amico è indissolubilmente legata alla password in grado di disattivarne il kill switch, in modo da impedire l’autodistruzione in caso di intervento.

Inizia così l’ultima missione dei Guardiani della Galassia, questa volta impegnati nel salvare un loro stesso membro ricorrendo persino all’aiuto dei Ravagers e della stessa Gamora. Il cuore della missione è recuperare la combinazione dalla Orgocorp, ossia la Casa Madre in cui Rocket fu ingegnerizzato.

Questo porterà il gruppo di eroi a fronteggiare uno dei villain peggiori nell’universo, uno scienziato che gioca al piccolo dio conosciuto come l’Alto Evoluzionario. Dopo l’irruzione nell’Orgosfera essi raggiungono un mondo parallelo definito Contro-Terra, in tutto e per tutto speculare al nostro pianeta e popolato da esseri antropomorfi nati dagli esperimenti dell’Alto Evoluzionario.

Nel corso del loro viaggio inizieranno ad apprendere sempre di più circa il passato di Rocket, da sempre un segreto ben custodito. Riusciranno i nuovi Guardiani a salvare il loro amico e sconfiggere anche questa minaccia?

Crediti

  • Regia: James Gunn
  • Genere: azione, fantascienza, avventura, commediaà
  • Paese di produzione: Stati Uniti d’America
  • Casa di produzione: Marvel Studios
  • Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures
  • Durata: 150 min
  • Anno: 2023
  • Cast: Chris Pratt, Zoe Saldana, Dave Bautista, Karen Gillan, Pom Klementieff, Sean Gunn, Chukwudi Iwuji, Will Poulter, Elizabeth Debicki, Sylvester Stallone, Maria Bakalova, Bradley Cooper, Vin Diesel

Critica

Capitolo conclusivo di una trilogia che ha fatto la storia della Marvel, nonché ultima pellicola per questa casa di produzione a recare la firma di James Gunn, si classifica come uno dei migliori prodotti del decennio. L’accoglienza caratterizzata dall’entusiasmo dei fan vede raggiungere incassi vertiginosi, fino al riconoscimento di maggiore incasso del 2023. Accolto positivamente dalla critica, tocca un indice di gradimento elevatissimo di ben 7.3 su 10, per un mix di comicità, avventura e strazianti emozioni certamente da non perdere. L’efficienza e la resa sullo schermo del cast è accompagnata da una scelta oculata ed intelligente della colonna sonora, ormai peculiare caratteristica di questo titolo. Insomma, tenete pronto il lettore mp3 per ascoltare l’Awesome Mix vol.3!

La recensione

Rocket Raccoon: la sperimentazione animale e il Frankenstein di oggi

Se nei primi due volumi che recano il titolo “Guardiani della Galassia” ad essere preponderante era una comicità schietta, a volte caustica, e senza dubbio buffa in questo capitolo conclusivo molte tematiche precedentemente solo accennate trovano posto sotto la lente d’ingrandimento.

La punta dell’iceberg, che rappresenta la colonna portante della trama dell’intero film, è l’esistenza stessa di Rocket, che non è un procione. Nonostante nelle vicende degli altri volumi infatti la sua ossessiva dichiarazione di non-identità risulti pressoché ilare ed unicamente un capriccio dato dalla caparbietà tipica del personaggio, ora acquisisce un valore del tutto nuovo. Rocket non è un procione, o meglio, non un semplice procione. Ricostruendo il suo passato tassello dopo tassello, un tale personaggio già estremamente completo e caratterizzato diventa esplosivo, e travalica i limiti dello schermo raggiungendo il cuore degli spettatori.

Ciò che accade a Rocket infatti sfugge al mero evoluzionismo darwiniano, ed ha tutta l’aria di essere un inno alla validazione dei diritti animali nella sperimentazione. L’Alto Evoluzionario fa del piccolo eroe ciò che è, mosso dall’incoercibile tracotanza che offusca il confine tra etico ed illecito nella sua scienza.

Egli si attribuisce un nome che implica un ruolo di guida, demiurgo e direttore delle specie viventi al fine di ricercare il miglior adattamento per esse possibile. Quanto è concreto, quanto è lecito spingersi a seguire un ideale di perfezione ammantato del vanto della ricerca? Quanto è troppo, quanto distrugge invece l’essenza della moralità?

James Gunn si fa d’un tratto Mary Shelley, autore di un Frankenstein moderno che non vede un uomo pieno di bulloni essere alienato dalla sua naturale essenza, ma un cucciolo di procione più volte cucito e scucito fino a dimenticare d’essere tale.

Quello che nella letteratura vittoriana nasce dal gusto dell’orrido finisce ben presto per diventare lo specchio di una lotta sociale contro la hybris, mascherata di gotico e fantascienza. Così quella che appare come l’ennesima avventura tragicomica dei Guardiani della Galassia si trasforma in un’aperta critica alla spregiudicata fame dell’uomo, che distrugge il mondo per plasmare la propria realtà.

Se lo spunto è dato dalla sperimentazione animale, si allarga ad ogni ambito man mano che i piani dell’Alto Evoluzionario vengono alla luce, e diventa palese con la dichiarazione dello stesso: “Non c’è nessun Dio, è per questo che sono subentrato io“. Tra cieca persecuzione e curiositas scientifica, quello che resta è un villain puro e semplice, non moralmente grigio e privo di ogni sorta di redenzione, ad oggi certamente tra i meglio descritti nel mondo MCU.

Dolore, perdita, identità, famiglia, etica. Sono solo alcuni degli ambiti che vengono trattati unicamente con il binomio Rocket e suo creatore. Imitazione ed emulazione invece vengono fuori dal confronto tar Rocket e le altre sperimentazioni dell’Alto Evoluzionario: cosa ne è della scienza senza l’inventiva, se non un banale algoritmo?

Particolarmente simbolica in proposito la crescita del personaggio nell’arco delle tre pellicole, che evolve dalla cieca rabbia, al rifiuto di sé fino alla consapevolezza di essere più di una materia potenziale, ma Rocket Raccoon. L’acquisizione di tale identità, che diventa completa solo negli ultimi frames in cui Rocket torna alla sua gabbia ed ha l’occasione di leggere inciso sul ferro in nome della propria specie, è ben più travagliata e non si realizza unicamente grazie a tale momento. L’intero percorso di sdegno verso la propria essenza, lo straziante dolore dato dall’impossibilità di riconoscersi in sé, il costante stillicidio nel riferirsi a se stesso come mostro, roditore, scoiattolo ed altri appellativi costruiscono punto dopo punto il filo empatico che permette ai Guardiani e agli spettatori di comprenderne la vera natura. La soluzione di tale dissidio è per Rocket la grande capacità di accettarsi, di smettere di fuggire.

Dog days are over: un gruppo che è famiglia

L’intera Galassia può aspettare quando è un membro dei suoi Guardiani ad essere in pericolo. In questo capitolo tra i concetti vagliati più a fondo si ricorda certamente quello di famiglia. Un gruppo eterogeneo, eclettico, unito per caso che diventa nel corso degli anni l’emblema di una bislacca ed inaspettata coesione ne fa da emblema.

Non si tratta dell’unico paradigma presente nelle tre pellicole: sono diverse le forme che Gunn propone nel corso delle avventure degli eroi. Non bisogna dimenticare infatti il background associato al personaggio di Drax, segnato dalla perdita della moglie e dei figli, che ciclicamente torna ad incarnare il ruolo di padre al termine delle vicende su Knowhere. Drax si fa portatore del puro amore familiare greco Storghé.

Con l’indagine sul passato di Rocket si ha la possibilità invece di spettare all’evoluzione dell’amore amicale Philìa in Storghé: attraverso i personaggi del blocco 89 il piccolo Rocket impara ad immaginare il mondo, e a sognare di condividerlo. Sono Lylla, Teefs e Floor a definire la vera essenza del personaggio, e la loro perdita a contrapporlo a Drax. L’atteggiamento dei due personaggi di fronte ad un dolore tanto grande è dissimile e medesimo al contempo. Lo stesso Rocket evidenzia tale parallelismo, puntualizzando a Drax quanto tutti abbiano subito delle perdite, stagliandosi dapprima a carnefice similmente all’Alto Evoluzionario, ironizzando sul dolore del compagno, ma subito dopo chiarendo di condividere il lutto, di comprenderlo a fondo e di averlo subito, con un lapidario “everybody got dead people” (Guardiani della Galassia vol.1). Quello che ad una prima visone appare dunque come mero cinismo, diventa ora espressione dell’internalizzazione del cordoglio di Rocket, disilluso e spezzato dall’addio alla sua unica famiglia.

Ulteriore esempio è offerto dall’apolide Peter Quill, strappato alla sua realtà e rifugiato nell’appartenenza alla figura di Star Lord. Il taglio netto con la sua famiglia terrestre, la scomparsa della madre, la sorpresa nello scoprire l’identità di Ego ed infine il riconoscere in Yondu l’unica vera figura paterna mostrano diversi esempi di dinamiche familiari che esulano dal concetto tradizionale e ampliano il raggio dell’inclusività. La stessa ciclicità che è descritta nell’arco narrativo di Drax si ripresenta in Peter, con il suo ritorno sulla Terra e il ricongiungersi con il nonno.

Il rapporto tra Gamora e Nebula, e la totale inversione nell’ultimo volume rispetto ai primi due in cui la nuova Gamora riporta l’evoluzione avvenuta allo stato primordiale, è invece emblematico delle relazioni fraterne; mentre il potere su di esse esercitato da Thanos, corroborato dall’auctoritas paterna, esprime pressoché le stesse conseguenze dell’operato dell’Alto Evoluzionario su Rocket. In contrapposizione ad esse si vede invece crescere il legame tra Peter e Mantis, anch’essi accomunati da una discutibile figura paterna, eppure ad esito totalmente diverso.

Ulteriore legame da indagare è quello esistente tra Ayesha e il figlio Adam. La stessa scelta del nome suggerisce l’importanza semantica del personaggio, strappato al proprio guscio prima della maturazione completa. Adam è programmato per essere il più potente dell’intera Galassia, ma ancora una volta la presunzione dell’Alto Evoluzionario spezza una vita. Non nato da ventre materno ma sviluppato in una capsula apposita, impedirne il completo sviluppo rende Adam niente più che un bambino, perso e confuso alle prese con emozioni e situazioni per egli poco comprensibili e più grandi di quanto possa tollerare. Un automa che risponde a nessuno fuorché sua madre, tra eccessi adolescenziali e timori ancora infantili. Non è un caso che l’iconografia di Adam in fin di vita tra le braccia della madre richiami La Pietà di Michelangelo, al limite tra il comico e l’espressione del dolore materno di fronte ad un figlio che non può essere che vittima.

L’immagine più forte tuttavia è offerta dai Guardiani stessi, dai loro diverbi e dalla capacità di rischiare tutto l’uno per l’altro, dalla forza di salutarsi per crescere ma senza dirsi addio, come si fa in una vera famiglia.

Giudizio e conclusioni

Il dolore di Rocket rappresenta il fulcro dell’intera trama, e non a caso è proprio “dolore” la prima parola che il piccolo procione pronuncia nel momento in cui comprende di poter essere vulnerabile con Lylla. Già dai primi istanti è evidente come l’aspetto emotivo sia preponderante in questo prodotto, contrariamente ai primi due volumi in cui i risvolti empatici seppure presenti siano relegati alle porzioni conclusive. La grande abilità di Gunn in questo è quella di alternare efficacemente scene in grado di suscitare emozioni violente, dalla rabbia alla tristezza, e scene in cui la comicità e lo scherzo fanno da padrone.

Ciò fa del film un lavoro caleidoscopico e dinamico, mai piatto, avvincente ed in grado di sollevare diversi spunti di riflessione. A contribuire alle montagne russe emotive è la scelta sempre adeguata della colonna sonora: i testi calzano perfettamente quanto riportato sullo schermo, e Creep dei Radiohead in apertura costituisce il punto di svolta nonché flash forward di ciò che sarà la storia di Rocket. Sul finale inoltre la piacevole sorpresa di notare una canzone che diversamente dalle altre non appartiene agli anni ’60,’70, ’80 bensì ai nostri giorni. Si tratta di un’eccezione nel mondo dei Guardiani della Galassia, il cui sottofondo musicale è estratto dai gusti e dalle esperienze di Quill. In questo caso il brano impiegato veste perfettamente la scena di commiato, intrisa di gioia e tristezza, e suggerisce l’avvento di tempi migliori. Una scelta a dir poco adeguata, che colpisce dritto al cuore degli spettatori, suscitando il desiderato mix di malinconia, soddisfazione, nostalgia, felicità e sollievo che solo un Drax danzante sulle note di Dog days are over, di Florence and the Machine può dare.

Le scene d’azione raggiungono livelli esecutivi elevatissimi: particolarmente apprezzabile lo scontro fra Peter Quill e Rocket e i funzionari dell’Alto Evoluzionario, oltre che le scene della battaglia finale, in cui la macchina da presa attraversa fori nei corpi di combattenti caduti e accompagna lo sguardo degli eroi che lottano.

Alle strazianti scene di flashback sul passato di Rocket non fa da spettatore solo chi è seduto in sala, ma anche gli stessi Guardiani suoi compagni. E non è l’unico momento di inclusione, in cui i fan si sentono partecipi del gruppo: sul saluto finale infatti Groot stupisce tutti con un sonoro “Vi voglio bene, ragazzi“. La tenerezza del momento è impareggiabile: non è Groot a parlare la nostra lingua, ma ormai parte della sua famiglia noi a capirlo!

Scoprire la storia di Rocket Raccoon è un vero colpo al cuore, in particolar modo conoscendo i suoi compagni e ricordando l’evoluzione dei suoi atteggiamenti nel corso delle altre pellicole, che dopo questo terzo capitolo trovano spiegazione. Acquisisce un nuovo senso estremamente coinvolgente l’ingresso di Rocket nel gruppo, il rapporto con i suoi amici e l’ossessione apparentemente malsana per le protesi di ogni tipo.

Diversi gli Easter Eggs e i riferimenti presenti ad altri prodotti Marvel nonché a storiche opere d’arte: il simbolismo intelligente e studiato vede come massimi esempi l’emulazione di due capolavori appartenenti a Michelangelo, la Pietà e la Creazione di Adamo, coinvolgendo in entrambi i casi Adam Warlock. Un dettaglio che potrebbe far ulteriormente commuovere i più è la presenza di Lylla anche nel primo volume della trilogia: nella scheda identificativa di Rocket il suo nome appare infatti accanto a quello di Quill tra i membri della famiglia.

Insomma, questo terzo capitolo è di certo uno fra i migliori film dell’anno, in grado di far commuovere allo stremo, ridere fino alle lacrime e riflettere, senza mancare dell’azione e della verve tipica dei prodotti di tale produzione. Dopo le recenti cadute di stile nell’MCU pare proprio che Gunn sia riuscito a portare di fronte al pubblico un film Marvel finalmente caratterizzato da quella magia che sembrava perduta.

Il trailer

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