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Wolverine: L’immortale – Recensione

Secondo spin-off sul mutante Wolverine, questa volta catapultato in Giappone

(The Wolverine) Regia: James Mangold – Cast: Hugh Jackman, Naturi Naughton, Kelly Hu, Ken Watanabe, Will Yun Lee, Brian Tee, Hiroyuki Sanada, Hal Yamanouchi, Tao Okamoto, Rila Fukushima, Svetlana Khodchenkova – Genere: Azione, colore – Produzione: USA, 2013 – Distribuzione: 20th Century Fox – Data di uscita: 25 luglio 2013.

the-wolverine-l-immortaleWolverine è sicuramente uno dei personaggi più intriganti e intensi della saga degli “X-Men” e i fumetti forniscono talmente tanto materiale su cui lavorare che non stupisce affatto la scelta da parte della Fox di realizzare ben due spin-off sull’amato supereroe. Nessuno dei quali però completamente riuscito: se il primo “X-Men le origini: Wolverine” (2009) era stato considerato dalla stampa un fiasco, questo secondo episodio non è di molto superiore.

“Wolverine: L’immortale” (2013) non è, come il precedente spin-off, un ritorno alla nascita dell’X-Men bensì, al contrario, un quadro della vita di Logan dopo la morte dell’amata Jean Grey e dello scontro finale a cui abbiamo assistito in “X-Men – Conflitto finale”.

Capelli e barba lunghi e incolti, occhiaie da insonnia e muso lungo, Hugh Jackman interpreta un uomo distrutto dal passato e ossessionato dal futuro. Logan ha perso completamente il senso della vita, non sa più per cosa o per chi combattere e allora smette di farlo. È in questo stato che la guerriera giapponese Yukio lo conduce a Tokyo dove un ricco imprenditore, al quale il mutante aveva salvato la vita durante la seconda guerra mondiale, gli offre di liberarlo dall’immortalità, rendendolo vulnerabile.

La lotta che Logan deve affrontare è interna quanto esterna: il mutante infatti non dovrà solo preoccuparsi, per la prima volta dopo tanto tempo, della propria incolumità, ma sarà costretto a capire se la vita per lui ha ancora importanza e significato.

“Wolverine: L’immortale” ha il grande pregio di ambientare l’intera pellicola nell’affascinante, esotico e tecnologico Giappone infondendo una ventata di novità e freschezza alla serie degli “X-Men”. Strabilianti le scene d’azione che ci scorrono davanti agli occhi, una su tutti il combattimento sul treno in corsa a velocità record, e terribilmente accattivanti le scenografie orientali dal gusto tradizionale e innovativo insieme.

Sono questi, però, gli unici motivi per cui “Wolverine – L’immortale” vale la visione; questi gli unici ricordi che avrete del film. Per il resto, il secondo spin-off sul mutante dagli artigli retrattili è facile da dimenticare.

Il film non è certo da buttare: la sceneggiatura è buona; Hugh Jackman si conferma l’interprete perfetto per incarnare Wolverine e le scene d’azione sono sempre ben girate. Lo spettatore non rischia di annoiarsi, ma neppure di appassionarsi.

È una pellicola mediocre quella di James Mangold che, nonostante contenga tutti gli elementi necessari per intrattenere a dovere, non decolla mai. Persino i fan più accaniti rischiano di restare indifferenti per tutta la durata della pellicola e di rimpiangere le avventure degli X-Men al completo.

Wolverine è sicuramente un personaggio ben ideato e ottimamente portato sul grande schermo, ma la verità è che da solo non può fare ciò in cui è riuscito il gioco di squadra degli “X-Men” per un’intera trilogia.

L’unica consolazione per i fan più accaniti è la scena dopo i titoli di coda, un assaggio di “X-Men: Giorni di un futuro passato” che lascia sperare in un degno utilizzo dell’eredità dei riuscitissimi “X-Men – Conflitto finale” (2006) e “X-Men – L’inizio” (2011).

Corinna Spirito

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