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Wolfman – Recensione

Wolfman: classico remake che punta sulla ferocia spietata

(The Wolfman) Regia: Joe Johnston – Cast: Benicio Del Toro, Emily Blunt, Anthony Hopkins, Geraldine Chaplin, Hugo Weaving, Kiran Shah, Art Malik, Michael Cronin, David Sterne, Branko Tomovic – Genere: Drammatico, Horror, colore, 125 minuti – Produzione: USA, 2009 – Distribuzione: Universal Pictures Italia – Data di uscita: 19 febbraio 2010.

wolfmanTrasformazione, contorsione, l’osso che muta a livello cellulare, le membra tese allo spasmo, l’uomo diventato bestia. Non importa quanti remake se ne possano fare, la leggenda del licantropo è preistorica quanto i minerali che compongono il nucleo terrestre, quel che si può modificare sono solo i commensali. Così hanno deciso di fare alla Universal, che ne detiene i diritti cinematografici da tempi immemori, col rischio di tirar fuori una bufala e rovinare la reputazione di un’icona horror fortissima nell’immaginario collettivo. Ora potete lasciarvi andare ad un sospiro, perché così non è stato.

Tralasciando in questa sede le pasticciate dichiarazioni in merito ai suoi rinvii di quasi due anni, in “The Wolfman” pesa in maniera opprimente la tanto chiacchierata operazione di restyling e il cambio in corsa del regista traghettatore. Alla luce di questi fatti, la storia di Lawrence Talbot, attore d’epoca vittoriana che torna alla magione di famiglia per cercare il fratello e si ritrova infettato del sangue mannaro, assume contorni meno spiacevoli. Anzi, attrae insospettatamente e avvince quel poco che basta da farne un film come tanti altri, piacevole a tratti, prolisso in altri. Trasformazione, rabbia accecante, sete di sangue e di vendetta, raziocinio e affari di famiglia sono tutti tasselli di una trama lineare che fa da sfondo alle pulsioni animali dello spaesato Benicio Del Toro (truccato da Rick Baker in maniera spaventevole, ma un po’ goffa).

L’uomo lupo in questione fa paura, semina il terrore nel più tipico dei villaggi dell’800, zeppo di stereotipi british e di nebbia, arriva a Londra e termina la sua corsa nell’atteso scontro finale. Un melò horror letterario che attinge a piene mani dalla filmografia classica, dissetandosi di scene action grazie alle tecnologie digitali attuali. L’antieroe suo malgrado è credibile in un fumetto, quanto basta per farci seguire la storia con interessato distacco e qualche stretta là in basso.

Quattordici lustri dopo Lon Chaney Jr., Joe Johnston non prova nemmeno a rilanciare la licantropia, piuttosto, come succede spesso di questi tempi, omaggia la tradizione gotica, restaurando sobbalzi sulla poltrona e ferocia oltre limite, dove un amore impossibile può fermare l’orrore. Seppur inquadrati in una società avvizzita al termine del suo splendore e in cui la tragedia è alle porte e il cinismo acquattato dentro casa, i personaggi sembrano uscire dalle pagine di Edgar Alla Poe. Niente di più, niente di meno, tanto lavoro per un horror di genere, interessante quanto di puro intrattenimento. Ad ogni buon conto, quando la luna piena si manifesta è sempre prudente rimanere al calduccio.

Simone Bracci

Wolfman – Recensione

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