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Piccola patria – Recensione

“Piccola Patria” un desolante quadro sulla disgregazione dei valori in Italia

Regia: Alessandro Rossetto – Cast: Maria Roveran, Roberta Da Soller, Vladimir Doda, Diego Ribon, Lucia Mascino, Mirko Artuso, Nicoletta Maragno, Giulio Brogi – Genere: Drammatico, colore, 110 minuti – Produzione: Italia, 2013 – Distribuzione: Istituto Luce Cinecittà – Data di uscita: 10 aprile 2014.

manifesto_piccola_patria.inddLuisa, una ragazza vitale, disinibita e trasgressiva e la sua migliore amica Renata, oscura, arrabbiata e bisognosa d’amore, vivono in un paesotto del nordest italiano. Tirano a campare lavorando sottopagate in un albergo del posto e sognano il benessere economico e una vita altrove. Per vendicarsi dell’amante Menon, che scambia con lei soltanto sesso e soldi, Renata coinvolge Luisa, e il di lei ignaro fidanzato albanese Bilal, in un ricatto a fine d’estorsione. L’intreccio però si complica. Interviene l’amico di Menon e padre di Luisa che, in preda a pulsioni xenofobe, ritiene colpevole l’albanese di ogni male che travolge la sua famiglia. Tutti rischiano di perdersi ma non c’è un finale chiuso che indichi la sconfitta dei protagonisti.

In sostanza non c’è trama o la trama è solo un pretesto per un quadro ambientale su un cupo, torbido e disperato nordest,  luogo metaforico del degrado di valori etici, sociali e familiari. D’altronde Rossetto, prima che regista di film di finzione, è documentarista e ha trasportato questa sua visione chirurgica nel suo primo lungometraggio. Innestando documenti frammentati di vita reale, come il comizio di Gianluca Busato, teorico del referendum sulla secessione del Veneto, con la finzione, ha creato un’opera neutra, a metà tra il film d’immaginazione e il documentario.

Il film è sotteso da un tono epico creato dall’uso della fotografia che a volte scannerizza in una visione aerea da carta topografica il territorio, qui vero protagonista del film più che ambientazione del racconto. È una provincia mangiata dalla crisi economica, che ha svuotato i capannoni industriali e reso sterile e spopolata una terra un tempo ricca. Altre volte, in altre scene, Rossetto ha  abbandonato le riprese aeree per insistere in primissimi piani che scandagliano i corpi dei protagonisti, rendendoli capaci di raccontare una storia senza bisogno di parole.

Anche l’utilizzo della musica popolare dei cori alpini, riadattata dal compositore vicentino Bepi De Marzi, ha contribuito all’epicità dell’opera. “L’acqua ze morta” cantata dai Crodaioli, un coro popolare di sole voci maschili fondato da De Marzi nel 1958 ad Arzignano, Vicenza, fa da colonna sonora alle prima immagine del film, una panoramica aerea che coglie, sottolineandola col suono potente del coro, la totale desolazione del territorio e della sua umanità.

Nonostante alcune immagini potenti, “Piccola Patria” si perde  proprio nella trama labile che sembra innestata forzatamente nel film. La storia del ricatto è di troppo. Sarebbe bastato raccontare il degrado ambientale, causato da una crisi economica che ha travolto lavoro e famiglia portando il popolo alla perdita di valori, alla mercificazione dei corpi e a pulsioni xenofobe, per fare di quest’opera acerba un piccolo capolavoro.

Danila Belfiore

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