Eco Del Cinema

Junun – Recensione

 

  • Regia: Paul Thomas Anderson
  • Genere: Documentario
  • Durata: 54 minuti
  • Produzione: USA, 2015

“Junun”: composizione tecnica e visiva su una base melodica

junun

Documentario a dominio musicale e dall’impatto visivo potente, attraverso il quale la macchina di Paul Thomas Anderson fornisce l’ennesima lezione di tecnica cinematografica ad alto livello esecutivo: “Junun” è un’esperienza originale nell’abbinamento poetico di convivenza fisica ed espansione musicale, ristretto nello spazio per lo più interno di una suggestiva residenza indiana, il forte di Mehrangarh, dove si tengono le prove di collaborazione tra artisti diversi per il disco dal cui titolo è stato tratto quello del film.

La restrizione della durata, appena 54 minuti, non scalfisce in alcun modo la potenza espressiva del linguaggio andersoniano, ormai tanto sviluppato da poter essere applicato quasi in forma di jazz, in un continuo gioco di scarti e deviazioni: alle lunghe e protratte panoramiche che riprendono l’eterogeneo gruppo musicale in esecuzione si alternano momenti di montaggio frenetico, nella costruzione progressivamente sempre più aperta di un legame con l’ambiente esterno, con l’India circostante, luogo non esotico ma familiarmente perturbante nei suoi magazzini e nelle strade asfaltate.

“Junun”: la catarsi attraverso l’esperienza musicale

Il lavoro sui volti è protratto e insistente, tutto giocato sui primissimi piani che esibiscono senza remore idiosincrasie facciali e trasporti emotivi, difetti fisici e calore umano. I componenti indiani della compagnia con i loro strumenti peculiari, Jonny Greenwood con la chitarra, il cantante israeliano Shye Ben Tzur, anima creativa e principale compositore di “Junun” (nella versione musicale): tutti strettamente connessi nell’armonico stridore delle diversità fisiche ed etniche, in un avanzato stato di intimità determinato dalla comunanza del linguaggio musicale in via di sperimentazione costante, come in un prolungato e catartico rito religioso in cui ogni componente della compagnia – non ultimo il regista che riprende ogni cosa – è tenuto a contribuire alla celebrazione.

Il cuore pulsante di “Junun” è la musica, elemento fondamentale e dominante della rappresentazione: la musica c’è sempre, ad assecondare e guidare i movimenti della macchina da presa nella costruzione delle immagini, che possono permettersi di lasciarsi andare in una spirale avvolgente e spontanea proprio perché protette dal flusso melodico predisposto a dettare incessantemente i ritmi, tra pause e accelerazioni. La musica è, del resto, l’oggetto stesso di questa narrazione così eccentrica: nel suo percorso formativo, negli atti collettivi della creazione e dell’esecuzione che uniscono i corpi e le anime.

Marco Donati

Articoli correlati

Condividi