Eco Del Cinema

Due giorni, una notte – Recensione

I fratelli Dardenne riescono a coniugare la dimensione sociale a quella esistenziale in un quadro di vita essenziale ed efficace 

(Deux Jours, Une Nuit) Regia: Luc Dardenne, Jean-Pierre Dardenne – Cast: Marion Cotillard, Olivier Gourmet, Catherine Salée, Fabrizio Rongione, Christelle Cornil – Genere: Drammatico, colore, 95 minuti – Produzione: Belgio, 2014 – Distribuzione: Bim – Data di uscita: 13 novembre 2014.

due-giorni-una-notteAsciutto e incisivo, l’ultimo lavoro dei fratelli Dardenne riesce a cogliere nel segno: lo stile narrativo icastico che da sempre contraddistingue la loro produzione cinematografica si riverbera anche in “Due giorni, una notte” – stavolta nella vicenda di una donna che rischia di perdere la propria occupazione e, con il sostegno del marito, ha due giorni di tempo per convincere i propri colleghi a rinunciare a un bonus e garantirle la possibilità di continuare a lavorare, appoggiandola in una votazione interna.

La situazione rappresentata si pone in modo lineare al livello della narrazione, ma allo stesso tempo è una porta che si lascia aprire da diverse chiavi di lettura: l’accentramento in senso esistenzialistico nel personaggio di Sandra, protagonista del film, appena uscita da una crisi depressiva; la dilatazione della vicenda nel confronto schietto con altre storie di vita, che, pur così diverse tra loro, presentano un trait d’union nella congiunzione tra lo stato di necessità dettato dalle difficoltà economiche e il piglio combattivo, imprescindibile per poter conservare la dignità individuale; l’aspetto documentaristico nella fotografia di una situazione tipica delle attuali condizioni di vita e lavoro di una certa parte della società.

La struttura del film si fonda su una ripetizione costante, quasi ritmica. La donna bussa di porta in porta, ogni volta presentando al collega di turno la richiesta di aiuto e ogni volta combattendo su due fronti: da un lato la disperata necessità che la spinge a confrontarsi con i colleghi, pur nella consapevolezza che la situazione si è evoluta in modo tale che la richiesta, anche se corroborata da valide ragioni, non può sembrare altro che l’atto di un mendicante; dall’altro la crisi interna, la depressione che la tiene sempre pericolosamente oscillante sull’orlo del baratro. Questa struttura non cade mai nel pletorico, permettendo al contrario la concentrazione di una enorme carica semantica in ogni singola scena – come una raccolta di frammenti che vanno a comporre un puzzle, coprendolo però solo parzialmente. La reiterazione è tanto più incisiva nella misura in cui è compressa in una dimensione temporale ristretta: i due giorni del titolo, il fine settimana del quale Sandra dispone per riuscire a raggiungere l’obiettivo.

Un aspetto fondamentale è quello legato alla dimensione fisica del film: la macchina da presa si posa continuamente sul volto e sul corpo di Marion Cotillard, accentuandone ogni minimo movimento o deformazione, ogni espressione, ogni sguardo. L’attrice, dal canto suo, è straordinaria nella continua e variegata modulazione della propria gamma espressiva, riuscendo a restituire in maniera credibile – spontanea, si direbbe – l’altalena emozionale che caratterizza il suo personaggio, estremamente fragile, a tratti davvero inerme, ma allo stesso tempo così tenace nel perseguire il proprio obiettivo – e in questo è fondamentale l’apporto del marito, pronto a sacrificarsi senza scendere a compromessi di nessun tipo.

Non c’è alcuna interferenza di stampo didascalico, alcuna presa di posizione aprioristica da parte degli autori: la situazione è presentata nella sua crudità; tutto va da sé. Le diverse storie di vita che si incrociano, indelebilmente segnate da una lotta feroce e continua contro l’instabilità e la paura di non arrivare alla fine del mese, sono tratteggiate con piglio quasi scientifico, in un certo senso naturalistico, senza alcuna pietà o partecipazione; si potrebbe parlare, piuttosto, di una pietà oggettiva intrinseca alla rappresentazione, mai però esplicitata in un giudizio morale, ma semplicemente presentata nella sua realtà.

Marco Donati

Articoli correlati

Condividi