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Matt Dillon a Roma per “La casa di Jack”

Matt Dillon ha incontrato la stampa in un salotto dell’Hotel romano Bernini Bristol, in occasione della presentazione dell’ultima fatica del regista danese Lars Von Trier “La casa di Jack“.

La casa di Jack: una parabola della malvagità

Matt Dillon La casa di Jack

“La casa di Jack” è la rielaborazione personale fatta dal regista Lars Von Trier dei crimini perpetrati negli anni da Jack Lo Squartatore. Il personaggio, che Matt Dillon interpreta, è un uomo senza alcuna coscienza, uno psicopatico. L’attore racconta di come sia una pellicola tragica, che parla di un serial killer, ma soprattutto di un artista fallito, così si sente Jack, un fallimento causato dalla mancanza di empatia.

Un folle a cui manca il centro, il nucleo fondamentale di ogni essere umano. Per questo squilibrio denso di atrocità e per la violenza dei suoi comportamenti criminali, Dillon ha avuto molto dubbi nell’interpretare un animo cosi orribile e ha accettato solo per Lars Von Trier, dubbi quindi sull’argomento, ma nessuno per il regista, ammirato per la sua coerenza stilistica e la sua personalità. Un regista che, dopo aver dato il volto e l’anima a donne buone e sofferenti per tutta la sua carriera, ha deciso di realizzare un film su un uomo malvagio e senza anima.

Da essere umano Matt Dillon giudicava il personaggio stesso e lo preoccupava la paura incombente di rifiutare se stesso in quel ruolo.

La casa di Jack: un ricordo di Bruno Ganz

Questo film si sviluppa e parte dal dialogo fuori camera tra Jack e Verge, diminutivo di Virgilio, interpretato da Bruno Ganz, scambio filosofico ed etico presente e costante per l’intera durata del lungometraggio.

Matt Dillon si dichiara profondamente triste per la recente scomparsa dell’attore svizzero e si sente fortunato per avere avuto l’opportunità di recitare al suo fianco. É sempre stato un suo fan, a partire dai 17 anni , quando lo vide in un film mentre interpretava il ruolo di un giocatore di scacchi che impazziva.

Bruno Ganz, che nella pellicola di Trier impersonifica il confine tra l’umanità e gli inferi, allegoria della ragione umana e naturale che porta a riflettere sul giusto ordine delle cose, si diceva soddisfatto del film e del progetto, dichiarandolo a Dillon come “la cosa più interessante che avesse mai visto”.

Uno sguardo sul presente come fallimento e sul passato come insegnamento, sulla natura delle cose e dell’essere umano, una riflessione sulla mancanza di coscienza in questo mondo, dove, come fa notare lo stesso Dillon, nessuno sembra preoccuparsi di quanto sta accadendo, come le bombe sui civili in Siria, nessuno si interessa abbastanza delle tragedie e delle ingiustizie.

L’attore definisce Jack un misantropo, parte dominante del dibattito con Verge, una contrapposizione interessante soprattutto dal punto di vista grafico.

Un personaggio difficile, per il quale l’attore ha dovuto lavorare per sottrazione, spegnendo lati importanti per un essere umano, come l’emotività e la coscienza. Un film che polarizza il pubblico, denso di umorismo dark, che necessita di sedimentazione, con un montaggio emotivo che rompe le regole, come solo il regista danese sa fare.
Sia Dillon che Ganz hanno girato senza mai provare nulla, presenti a se stessi nel momento in cui partiva l’azione, correndo notevoli rischi, ma con la libertà di fallire.

Perchè “…a volte il modo migliore di nascondersi è non nascondersi affatto” come recitava Jack, che voleva disperatamente essere fermato, in una battuta del film.

Chiaretta Migliani Cavina

18/02/2019

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