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 Eva Doesn’t Sleep – Recensione

 

  • Titolo originale: Eva no duerme
  • Regia: Pablo Aguero
  • Cast: Gael Garcia Bernal, Denis Lavant, Imanol Arias, Ailin Salas
  • Genere: Drammatico
  • Durata: 85 minuti
  • Produzione: Argentina 2015

“Eva doesn’t sleep”: i fili tesi del conflitto politico in Argentina

eva.doesnt.sleepLa figura leggendaria e controversa di Eva Perón, ancora oggi oggetto di una diffusa venerazione in Argentina, pervade con il suo spirito il film di Pablo Aguero: un tentativo registico sperimentale che oscilla tra apologia del peronismo e denuncia dei crimini contro l’umanità perpetrati nel corso dei decenni in terra sudamericana.

La scissione in due blocchi principali è nettamente marcata: nella prima parte il corpo di Eva Perón, morta per tumore a trentatré anni, viene imbalsamato da uno specialista e trasportato su un furgone, all’interno del quale un colonnello e un sottoposto, dopo una lunga fase di preparazione, si scontrano fisicamente per ragioni ideologiche; nella seconda parte un generale viene catturato da un gruppo terroristico di ispirazione peronista e condannato alla fucilazione.

L’enorme dilatazione dei due blocchi si poggia sulla fissità quasi assoluta delle inquadrature, che perforano la ristrettezza degli ambienti e accentuano nei nugoli di fumo la fisicità dei corpi in tensione. Gli scatti di rabbia, l’aggressività nei contatti e la tensione sempre viva conferiscono una spessa aura di intensità alla rappresentazione, che mantiene uno stato costante di conflitto e di fibrillazione.

“Eva doesn’t sleep”: la mitizzazione di Eva Perón

Il dialogo tra i soldati nel furgone, attorno alla bara contenente il corpo della Perón, si protrae per un periodo che pare interminabile, fino alla deflagrazione finale della lotta, inattesa e quasi grottesca. Se questa prima fase è chiusa e straniante, la seconda assume una forma più incisiva nel delineare i tratti conflittuali: il generale ghermito dai giovani fanatici del peronismo viene sottoposto a un processo in uno stanzino buio e claustrofobico, secondo uno schema identico a quello attuato dalle Brigate Rosse in Italia negli anni di piombo. Il confronto impari tra il carnefice che diviene vittima designata e l’anonimo attivista che si eleva a boia implacabile assume i connotati di una dialettica distruttiva: nelle reciproche minacce si manifesta la stridente congiunzione ideale tra il disorganizzato sovversivismo rivoluzionario e la restaurazione militare; ma su queste basi il confronto reale, al di là dei singoli atti dimostrativi, può determinare un solo vincitore: quello che dispone dell’armamentario più potente.

Il narratore diegetico, all’inizio e alla fine – in forma di prologo ed epilogo –, è il generale Jorge Videla, il cui colpo di stato militare nel 1976 depose il secondo governo di Juan Domingo Perón: la sua figura, resa giovane e affascinante, aleggia nel campo visivo come un fantasma minaccioso, raccontando da nemico, tra appellativi insultanti e scatti di vanagloria, l’ascesa alla mitizzazione politica di Eva Perón.

Ad arricchire il linguaggio della rappresentazione subentrano le immagini di repertorio, che concretizzano la prospettiva storica: il corpo imbalsamato della Perón viaggiò per più di due decenni in Europa, allontanato nel timore che il suo luogo di sepoltura potesse divenire dimora di un culto, per poi essere riaccolto trionfalmente in Argentina nel 1974 ed assurto a popolare simbolo ideologico.

Marco Donati

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