Il film “Nottefonda“, diretto da Giuseppe Miale di Mauro, ha fatto il suo esordio nelle sale dopo la presentazione alla Festa del Cinema di Roma. Ispirato al romanzo “La strada degli americani” del 2017, scritto dallo stesso regista, il lungometraggio si distingue per la sua intensa narrazione e per le interpretazioni profonde dei personaggi, in particolare quella di Francesco Di Leva, che interpreta Ciro, un uomo in preda alla disperazione.
Un grande lavoro di interpretazioni
Francesco Di Leva interpreta Ciro, un uomo che ha subito una perdita devastante: la moglie è stata investita e uccisa in un incidente stradale. Da un anno, ogni notte, Ciro si mette al volante della sua auto per cercare la vettura rossa coinvolta nell’incidente, spinto da un desiderio di giustizia personale che lo porta a una spirale di autodistruzione. Al suo fianco c’è Luigi, il suo tredicenne figlio, interpretato da Mario Di Leva, che accompagna il padre in questo viaggio carico di dolore e sofferenza.
La figura di Ciro è quella di un uomo che ha scelto di rifugiarsi nel crack per anestetizzare il suo dolore, chiudendo ogni possibilità di una vita alternativa. Questo stato di abbandono si riflette anche sulla madre di Ciro, interpretata da Dora Romano, e sull’amico Rosario, interpretato da Adriano Pantaleo, entrambi testimoni della sua lenta discesa negli abissi della disperazione. La performance di Francesco Di Leva riesce a trasmettere in modo potente il tormento e la desolazione che caratterizzano il suo personaggio, grazie anche a un lavoro fisico che rende palpabile la sofferenza di Ciro.
La relazione tra Ciro e Luigi è centrale nel film. Spesso, è il giovane a cercare di risollevare il padre, tentando di riportarlo alla vita e di farlo emergere dalla sua apnea emotiva. Tuttavia, Ciro evita qualsiasi confronto e si infligge una punizione che lo consuma, intriso di sensi di colpa. “Nottefonda” si distingue per la sua capacità di raccontare le emozioni attraverso i silenzi, rendendo la narrazione ancora più intensa.
Una Napoli inedita
Ambientato nella periferia est di Napoli, “Nottefonda” si avvale di una rappresentazione della città che evita i cliché visivi. I sottopassaggi, i tetti dei palazzi e le strade illuminate da lampioni creano uno sfondo che, pur essendo riconoscibile, non è mai invadente. Questa scelta stilistica contribuisce a rendere la storia di Ciro universale, trasmettendo un senso di solitudine e disperazione accentuato dal periodo natalizio in cui si svolge la vicenda.
La fotografia di Michele D’Attanasio gioca un ruolo cruciale nel trasmettere l’atmosfera del film. La freddezza delle immagini, con sfumature metalliche al posto dei colori caldi tipici di Napoli, accentua il dramma interiore del protagonista. Le inquadrature fisse e pulite, focalizzate sui primi piani, mettono in risalto le emozioni dei personaggi, creando un legame diretto con lo spettatore. Tuttavia, l’elemento narrativo che dovrebbe accompagnare il pubblico fino al finale rischia di essere intuibile fin dall’inizio, lasciando un po’ di spazio alla prevedibilità.
Il buio della notte, che Ciro ha scelto di abbracciare, rappresenta il cuore del racconto. Tuttavia, in questo buio si insinua una piccola luce, simbolo di speranza. È solo aggrappandosi a questa flebile luce che Ciro può iniziare ad accettare la sua perdita e, nonostante il dolore, trovare la forza per ricominciare a sorridere.
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