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Il banchiere anarchico: Giulio Base incontra la stampa

È la Casa del Cinema ad accogliere la presentazione de “Il banchiere anarchico” di Giulio Base, fresco vincitore del Premio Persefone all’ultima edizione del Festival del Cinema di Venezia. Chiacchierata con il regista – nonché attore principale della pellicola – e Paolo Fosso, amico di lunga data del regista, che sul grande schermo intesse un dialogo fitto e convulso con il magnate interpretato da Base. Una produzione che riscuote successo e ammalia, prima trasposizione cinematografica dell’omonimo lavoro di Pessoa datato 1922.

Il banchiere anarchico: anatomia della parola

il banchiere anarchico scenaLa definisce “opera prima”, Giulio Base. Lui, che pur non è digiuno di film (anzi si descrive “cinefilo inesausto”) vive la presentazione come grado zero, primo passo verso una possibile nuova ricerca. Con trentaquattro lavori alle spalle – tra tv, cinema e teatro -, e una produzione poliedrica e multiforme, il regista torna con un’opera caleidoscopica e inusuale. “Il banchiere anarchico” sbarca in sala dopo innumerevoli adattamenti teatrali, in una ricerca quanto più urgente e necessaria. Aderendo ai tempi moderni – dove pur si è costretti a essere multipli, ossimorici, se stessi e altro da sé stessi -, Base raccoglie le voci dissonanti e cacofoniche e ne fa un’opera contemporanea nel senso stretto del termine: immortala e respira il presente. Lui, che ammette ai microfoni di avere in sé “il sublime e il grottesco”, ne diventa volto e corpo.

Base presenta una pellicola ibrida, contaminata fin nelle sue più intime strutture; di quelle opere, spiega, davanti cui c’è sospensione, il non interrogarsi sulla natura e la materia (è film o teatro? Finzione o realtà?). Svicolare da eventuali categorie, sconfinare, diventa atto di libertà: un concetto, quest’ultimo, leitmotiv dell’intero film. È ciò che più il regista ammette di apprezzare dell’anarchia: la mancanza di confine, di limite non valicabile, che pur ritornano nelle parole del banchiere. È un’anatomia del potere, quella condotta, spietata e aderente.

Traspare una cura certosina della parola, del verbo. Base, laureato in Lettere Moderne e Teologia, lo sottolinea: la parola è il primo vero amore. Si riallaccia brevemente a chi la storia della settima arte (e non solo), l’ha fatta: a Gassman, suo mentore, che pur parlava di amore e dedizione alla parola più forte di quella riservata ai figli.

 

 

Il banchiere anarchico: un figlio minore da accompagnare

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Fosso, dalla sua, descrive l’esperienza lavorativa come “difficile e al contempo facilissima”: collabora nuovamente con Base, torna al lavoro pessoano proprio con l’amico, ventiquattro anni dopo quell’adattamento teatrale dell’opera da loro firmato. La difficoltà, principalmente una: quella ad adattarsi, a rimpicciolirsi ed entrare nei panni dell’amico del magnate; un personaggio che appare e scompare, che è e non è.

Il film dopo la vittoria a Venezia nella categoria “Sconfini”, sarà il simbolo della riapertura del Quirinetta, sala storica dell’essai romano. Una promozione capillare, quella prevista: si partirà da Genova e Milano, per Torino e Firenze, fino a toccare piazze non facilissime, come quelle di Messina, Reggio Calabria, Napoli. Non da meno, certa la presenza dell’opera alla 18^ edizione degli Incontri del Cinema d’Essai di Mantova. Un figlio minore, sottolineano i produttori, che va preso per mano e accompagnato.

Simone Stirpe

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