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Festa del Cinema 2018: Michael Moore incontra il pubblico

Alla Festa del Cinema di Roma 2018 Michael Moore incontra il suo pubblico e attacca con ironia Trump e Salvini.

Festa del Cinema 2018: Moore e il cattivo momento che vive l’America

Fahrenheit 11/9 -Michael Moore

Michael Moore il regista di “Fahrenheit 11/9”

Michael Moore arriva sul palco dell’Auditorium con il solito berretto di sempre. Lo accompagna il giornalista Corrado Formigli. Con loro un’interprete che se la deve vedere per tutto l’incontro con il fiume di parole velocissimo che esce dalla bocca del simpatico regista americano. Non è affatto ottimista l’illustre ospite sul futuro del cinema nel suo paese. Ci sono sempre meno film stranieri proiettati nelle sale americane. Al contrario, di quando era giovane lui e ha potuto vedere nel piccolo cinema del suo paese tutti i titoli internazionali di quegli anni. Eppure, continua dicendo che il cinema è quanto mai essenziale in un paese dove molti cittadini non hanno neanche il passaporto e quindi non sono mai stati fuori dai loro confini. In più, gli spettacoli, dallo sport al resto, sono estremamente costosi. Quindi, solo la settima arte resta disponibile a dieci dollari. Si inizia a parlare subito di politica ma in modo assolutamente easy come è uso di Moore.

Michael Moore: da  “Fahrenheit 9/11” a “Fahrenheit 11/9″

Dopo “Fahrenheit 9/11” del 2004, arriva nelle sale “Fahrenheit 11/9”.

Sono passati molti anni. Al posto di Bush c’è Trump. Il primo, il regista lo definisce un criminale; in comune con il secondo c’è il fatto che ha vinto con una minoranza piuttosto risicata. La vera vincitrice sulla carta era Hilary, more or less. Del resto, il nostro sostiene che non è affatto vero che la classe operaia abbia votato per Donald. Sono stati quelli dell’elettorato bianco a eleggerlo. Ma, lui crede che oramai le classi sociali stanno cambiando molto rapidamente negli Usa e questo porterà alla morte di quello che lui definisce “il dinosauro morente”.

Formigli chiede al regista perché i media non siano stati capaci di prevedere la vittoria del tycoon. Il New York Times lo dava per vincente solo al 15%, ma la stampa, secondo Moore, vive in una bolla e non è a contatto con gli umori della gente. Lo chiamavano “The Donald”, e lo dice mentre mima buffamente l’espressione del Presidente. I giornali scherzavano su di lui ma non avevano capito che era un grande intrattenitore e avrebbe vinto, come poi è puntualmente successo.

Il discorso non poteva che passare poi allo stato dell’arte italiana. Salvini e Di Maio, anche loro possono sembrare divertenti e hanno vinto. Al contrario, i liberal (come Moore definisce la nostra sinistra) hanno fatto troppi compromessi. Hanno deciso di essere meno di sinistra ma non arrivano al popolo. Il regista ricorda di quando nel 1990 fu intervistato dal quotidiano comunista “L’Unità” e di come fu felice di sapere quante copie vendeva “Il Giornale”. E ora? Chiede Formigli. Moore crede che sia tempo di tornare nelle piazze. Tra battute velocissime e facce buffe l’incontro volge al termine, e non si può non chiudere con uno sguardo al presente/futuro italiano. Il regista non è affatto ottimista, ma chi lo è? La democrazia in genere non ha un meccanismo di autocorrezione. Per come stanno le cose adesso siamo vicini ad un fascismo 2.0, segnato non da carri armati ma da simpatiche trasmissioni televisive, animate da personaggi come Salvini….. definito da Mr. Moore un razzista e bigotto.

 Ivana Faranda

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