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Danny Boyle presenta ’28 anni dopo’: un viaggio nell’Inghilterra post-pandemica

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Il regista Danny Boyle è tornato a Roma per presentare il suo nuovo film ’28 anni dopo’, in uscita il 18 giugno, prodotto da Sony Pictures e distribuito da Eagle Pictures. Questo lungometraggio segna l’inizio di una nuova trilogia ambientata nel mondo del Virus della Rabbia, un tema che, a distanza di vent’anni dal primo capitolo ’28 giorni dopo’, assume un significato ancora più inquietante e attuale. Boyle riflette su come le paure che avevano ispirato il primo film si siano materializzate nella realtà, rendendo il suo racconto non nostalgico, ma carico di angoscia.

Il contesto di ’28 giorni dopo’ e la sua eredità

Quando ’28 giorni dopo’ è stato rilasciato nel 2002, il mondo era già scosso da eventi come l’11 settembre e il crescente timore di contagio. Il film non si limitava a raccontare una storia di paura, ma fungeva da specchio per le ansie del XXI secolo, evidenziando come la paura stessa potesse diffondersi più rapidamente di un virus. La società, in quel periodo, viveva una profonda crisi di fiducia, con le città che si svuotavano e i rapporti umani che si deterioravano. I corridori infetti, simboli di una furia incontrollabile, rappresentavano il nostro doppio isterico, una manifestazione di una società in preda al panico.

Cinque anni dopo, ’28 settimane dopo’ ha ampliato la narrazione, affrontando il tema della gestione della paura e della burocrazia che promette sicurezza ma genera solo caos. La metafora del dopoguerra iracheno era chiara: l’idea di esportare sicurezza mentre si importava disastro. Oggi, Boyle sottolinea che viviamo in una catastrofe lenta, con la pandemia che ha reso tangibili le paure precedentemente immaginate. La Brexit ha ulteriormente isolato l’Inghilterra, creando una bolla culturale e sociale.

Un’Inghilterra isolata e trasformata

’28 anni dopo’ ci porta in un’Inghilterra sigillata, un’isola abbandonata dal resto del mondo a causa della diffusione della Rabbia. In questo contesto, le piccole comunità hanno sviluppato nuove forme di controllo e la normalità è diventata una questione di sopravvivenza all’interno di recinti culturali. Il film, scritto da Alex Garland, ci presenta una società tribale in cui i giovani sono educati a cacciare gli infetti, un rito di passaggio in un mondo distopico.

La famiglia protagonista, composta da Jamie , sua moglie Isla e il figlio Spike , vive su Holy Island, un rifugio sacro. Quando Isla si ammala di una malattia silenziosa, la famiglia è costretta a lasciare il loro rifugio per affrontare un continente devastato, dove il virus ha subito mutazioni. Boyle spiega che non era sufficiente riproporre gli infetti del primo film; il virus evolve e si trasforma, creando nuove creature e gerarchie sociali.

La mutazione del virus e le nuove forme di potere

L’Inghilterra che Boyle rappresenta è irriconoscibile: la natura ha ripreso il sopravvento, le città sono avvolte dalla vegetazione e il silenzio è interrotto da esplosioni di violenza. La mutazione del virus non è solo biologica, ma anche politica e sociale. I nuovi infetti, classificati in categorie come slow-lows, alpha e berserker, riflettono una sorta di darwinismo sociale, creando famiglie e sistemi interni di potere.

Boyle sottolinea che quando la paura diventa cronica, essa si istituzionalizza, generando nuove forme di autorità. Questa dinamica è evidente nel contesto attuale, dove la società sembra aver accettato una nuova normalità di isolamento e paura. La malattia diventa così un’allegoria della perdita, un tema centrale nel film, dove la tragedia privata si intreccia con l’orrore collettivo.

Innovazione visiva e simbolismo nel film

’28 anni dopo’ non è solo un film di paura, ma anche un laboratorio visivo. Boyle ha spinto oltre i confini della sperimentazione tecnica, utilizzando venti iPhone montati insieme per creare prospettive impossibili. L’obiettivo non è solo mostrare l’orrore, ma far sì che lo spettatore si immerga completamente nell’esperienza. Inoltre, il formato ultra-panoramico 2.76:1 è stato scelto per rendere visivamente il caos e la tensione della narrazione.

Il film presenta anche elementi simbolici forti, come l’incontro con il dottor Kelson , un medico sopravvissuto che ha creato un ossario monumentale in onore delle vittime, infetti e sani. Kelson rappresenta una figura pacificata che accetta la morte senza ipocrisia, offrendo una riflessione profonda sulla condizione umana.

Con ’28 anni dopo’, Boyle avvia una trilogia che promette di esplorare ulteriormente il suo immaginario. Dopo vent’anni di opere diverse, il regista torna a un tema che ha segnato la sua carriera. La visione di Boyle sul cinema come esperienza collettiva e fisica, in particolare nel genere horror, si riflette nella sua intenzione di condividere la paura con il pubblico. A ventotto anni dal primo contagio, il Virus della Rabbia non è più un incubo futuribile, ma un inquietante riflesso del presente.

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Luigi Gigli

Luigi Gigli

Sono Luigi Gigli, critico d'arte, scenografo e amante del mondo dello spettacolo. Mi appassiona tutto ciò che ruota intorno a gossip, serie TV, film e programmi televisivi. Con il mio background in video editing e scenografia, analizzo e racconto con uno sguardo unico le tendenze e i dietro le quinte di questo affascinante universo.

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