Il 18 giugno 2025, nelle sale italiane, esce “28 anni dopo”, il nuovo film di Danny Boyle che segna il ritorno della saga iniziata con “28 giorni dopo”. Questo terzo capitolo, che si colloca 28 anni dopo l’inizio dell’epidemia che ha devastato la Gran Bretagna, non solo continua la storia, ma segna l’inizio di una nuova trilogia. Con un cast di attori talentuosi e una trama avvincente, il film promette di esplorare temi profondi legati alla vita e alla morte.
La trama di “28 anni dopo”
Il film si svolge in un mondo in cui il virus che ha causato l’epidemia non è stato completamente debellato. La storia ruota attorno a Spike, interpretato da Alfie Williams, e sua madre Isla, interpretata da Jodie Comer, che si trova in una situazione critica. La Gran Bretagna è tornata a una vita pre-tecnologica, e la società è segnata da una nuova generazione di personaggi, tra cui i terribili Alfa, che promettono di aggiungere tensione e drammaticità alla narrazione.
La quarantena dell’isola ha creato un ambiente in cui la vita quotidiana è stata stravolta. I protagonisti si trovano a dover affrontare non solo il pericolo rappresentato dagli zombie, ma anche le sfide emotive e morali che emergono in un contesto di crisi. La regia di Boyle, insieme alla sceneggiatura di Alex Garland, riesce a catturare l’essenza di un’umanità in lotta per la sopravvivenza, rendendo il film un’esperienza intensa e coinvolgente.
L’importanza del “memento mori” nel film
Uno dei temi centrali di “28 anni dopo” è il concetto di “memento mori”, ovvero la necessità di ricordare la propria mortalità. Danny Boyle sottolinea l’importanza di affrontare la morte in un’epoca in cui la società tende a ignorarla. Secondo il regista, la tecnologia è spesso vista come una via per eludere la morte, con investimenti significativi da parte di figure come Jeff Bezos, che cercano di scoprire il segreto dell’immortalità.
Boyle evidenzia come questa ricerca possa essere liberatoria, poiché riconoscere la propria temporaneità permette di apprezzare la bellezza della vita. La figura del dottor Kelson, interpretato da Ralph Fiennes, incarna questa filosofia, invitando i personaggi a ricordare non solo la morte, ma anche l’amore, un concetto che Boyle definisce “memento amoris”. Questo messaggio di speranza si intreccia con l’orrore, creando un contrasto affascinante che arricchisce la narrazione.
L’abitudine all’orrore e le sfide della società moderna
In “28 anni dopo”, Boyle esplora anche il tema dell’abitudine all’orrore. Gli eventi traumatici, come quelli vissuti durante la pandemia di COVID-19, hanno dimostrato come le persone possano adattarsi a situazioni estreme. Il regista osserva come, inizialmente, la reazione della società fosse di paura e cautela, ma con il passare del tempo ci si abitua e si inizia a correre rischi.
Questa riflessione è particolarmente attuale, poiché la società contemporanea è costantemente esposta a immagini scioccanti attraverso i media. Boyle avverte che questa normalizzazione dell’orrore può portare a una perdita di valori fondamentali, rendendo le persone miopi rispetto a ciò che è veramente importante nella vita. La madre di Spike, ad esempio, rappresenta un faro di speranza, ricordando al figlio l’importanza di ridere e di trovare gioia anche nei momenti più bui.
L’interazione tra umanità e tecnologia
Un altro aspetto interessante di “28 anni dopo” è la riflessione sull’interazione tra esseri umani e intelligenza artificiale. Boyle mette in evidenza come la tecnologia stia rapidamente evolvendo, portando a una fusione tra umanità e macchine. La domanda su come mantenere la propria umanità in un mondo sempre più dominato dalla tecnologia è centrale nel film.
Il regista si interroga sul futuro dell’intelligenza artificiale e sul suo potenziale sviluppo di un senso dell’umorismo. La scena in cui Spike commenta una foto di una ragazza sottoposta a chirurgia plastica evidenzia la crescente estraneità che può derivare dall’uso della tecnologia. Boyle invita a riflettere su come le scelte fatte oggi possano influenzare il nostro futuro e la nostra identità.
L’innocenza come elemento chiave nel genere horror
“28 anni dopo” si apre con una scena in cui i bambini guardano i Teletubbies, un simbolo di innocenza. Boyle spiega che l’innocenza è un elemento cruciale in un film horror, poiché crea un contrasto potente con l’orrore. La presenza dei Teletubbies all’inizio e alla fine del film serve a sottolineare questa dualità, rendendo l’esperienza ancora più intensa.
Il regista sottolinea che l’innocenza infantile può offrire uno spunto di riflessione profondo, creando una dinamica unica tra il terrore e la purezza. Questo approccio arricchisce la narrazione, permettendo al pubblico di esplorare temi complessi attraverso una lente emotiva e coinvolgente.
“28 anni dopo” si presenta quindi come un’opera che non solo intrattiene, ma invita anche a una riflessione profonda sulla vita, la morte e il nostro rapporto con la tecnologia, rendendolo un film imperdibile per gli appassionati del genere horror e non solo.
CONDIVIDI COI TUOI AMICI!